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— Il Triste Mietitore (@TristeMietitore) 08 maggio 2013
lunedì 5 marzo 2012
Costretti al ritorno: quando la crisi ti riporta al via
Una panchina alla stazione delle corriere, una sigaretta offerta, una chiacchierata che nasce spontanea sulle difficoltà del momento, la crisi e le incertezze del domani. Una storia semplice, come tante, quella che mi sono trovato davanti. E nella facile semplicità con cui le incontri sta tutto il dramma.
Sono seduto su di panchina lungo la corsia 4 della stazione delle corriere di Modena. La 4 è quella che riceve la linea extraurbana 500 Carpi-Modena su cui solitamente sale un crogiolo di umanità che nemmeno Babele. Ci si avvicina a mezzogiorno e la giornata è forse la prima tiepidamente scaldata dal sole. Me ne sto seduto li a fissare l'allegro saltellare della prima generazione di nuovi Italiani, la musica nelle orecchie, quando davanti agli occhi mi si para una mano che regge un pacchetto di Winston blue ancora pieno. Una sigaretta è leggermente fuori dai bordi e mi viene offerta. La estraggo ancora prima di individuare la faccia a cui appartiene quella mano.
La infilo in bocca e alzo lo sguardo: è un ragazzo sulla trentina, jeans bassi al cavallo, una felpa stile street-skate, occhiali da sole e una piccola borchia all'orecchio. L'alito emana odore d'alcol quando manca ancora un quarto alla mezza. Nell'altra mano tiene una lattina di weiss. Tolgo gli auricolari, ringrazio e accendo la sigaretta quasi all'unisono con lui. Lo sento che borbotta qualcosa tra lui e lui, interrotto da un singhiozzo. Nella mano ora tiene un foglio di carta piegato in due su cui istericamente scrive numeri che ricopia dal cellulare appoggiato sulla panchina. Lo osservo con discrezione. Il singhiozzo si rivela essere un pianto malamente smorzato. Prende il cellulare e comincia a comporre un numero. Non ho capito perché se li ricopia e poi li compone quando potrebbe chiamarli direttamente, ma non indago.
Quando dall'altra parte rispondono lo sento parlare di lavoro, anzi di licenziamento. Non ce la faccio, dice. Fissa tempi, entro un mese o due rientrerebbe della somma anticipata. Ripete le stesse frasi nelle successive quattro chiamate che compie. Mentre con la coda dell'occhio lo fisso noto un rivolo che scende da sotto gli occhiali. Comincio a sentirmi a disagio, quando si accorge che lo sto osservando. Si presenta come M. e allora rispondo con il mio nome. Si sente forse in dovere di darmi una spiegazione e mi racconta che è stato licenziato. Tagli da quel che capisco, è una cosa recente a quanto mi dice. Ora si ritrova indietro con l'affitto da pagare e un padrone di casa che giustamente esige celermente il dovuto.
Ogni sua parola è ricamata su una zaffa di birra che mal si presta all'orario e infastidisce non poco il mio naso. Anche con lo stipendio, tra spese e affitto, faticava ad arrivare a fine mese e gli extra, gli svaghi,sono stati solo una pia illusione negli ultimi due anni. Contava di ricevere un piccolo aumento quest'anno, invece ha ricevuto un invito a lasciare il suo posto con tante scuse. Ora M. ha buttato su quel foglio di carta una lista di numeri di amici e conoscenti a cui provare a chiedere un anticipo per mettere tranquillo il padrone di casa e guadagnare un poco di tempo da impiegare nella ricerca di un nuovo lavoro, ma fino a quel momento tutti gli hanno risposto picche e adesso sono rimasti solo due numeri da giocare sulla ruota della compassione. Se anche questi diranno no dovrà chiamare casa. M. non è di Modena, viene da centro sud. Due anni fa era salito per afferrare una opportunità di lavoro, anche se modesta, che da lui non avrebbe nemmeno potuto sognare. Adesso si ritrova qui, senza lavoro e con il rischio di sfratto sul collo.
Mentre singhiozza mi dice che se non troverà una soluzione sarà davvero costretto a chiamare casa, probabilmente a tornarci pure. Per lui chiamare casa e ammettere la situazione è un po' come dichiarare un fallimento, cosa che non è disposto ad accettare. Ha paura della delusione che potrebbe dare ai suoi e poi ora ha una fidanzata. Insomma, M. anche se a fatica voleva mettere su vita, qui a Modena. Ma il nastro si sta riavvolgendo e il rischio è di ripartire dal via con mille incertezze e tanti sogni infranti. Sogni semplici, non solo di M. ma di una generazione intera, la nostra, che con dinamiche più o meno differenti dalla storia di M. sono certo si può identificare.
Chi vi scrive lo ha fatto e ha sentito la necessità, anche se in maniera molto semplice, di raccontarvi questo breve episodio. M. si alza chiedendomi l'ora. Mancano ancora venti minuti alla corriera che lo porterà a casa. Io non mi arrendo, dice abbozzando un sorriso, e ora vado a prendere una pizzetta. Noi non possiamo nemmeno permetterci il lusso di immaginare la resa, ma dall'altra parte è ora che comincino a darci risposte chiare e sincere su quel che sarà del nostro futuro perché così nessuno ha più voglia di andare avanti.
Matteo Castellani Tarabini | contepaz83
Photo credit: Casadelviandante
Forced to return: when the crisis brings you to the Start
A bench at the bus station, an offered cigarette, a spontaneous chat about the difficulties of the moment, the crisis and the uncertainties of tomorrow. A simple story, as many others, the one that I found in front of me. And in the easy simplicity with which you can find them is all the drama.
I'm sitting on a bench on the 4th platform of the bus station in Modena. The 4th line is the one that manages the 500 intercity linea Carpi-Modena, on which every time a whole bunch of people gets on, so many that not even Babel. It's almost midday and the day is probably the first one that's just a bit warmed by the sun. I'm just sitting there staring at the joyful jumping of the first generation of new Italians, music in their ears, when in front of my eyes a hand holding a Winston blue packet of cigarettes appears. One cigarette is just out of the line and is being offered to me. I take it even before I identify the face to which the hand belongs.
I put it in my mouth and look upon him: he's a guy in his thirties, drop crotch jeans, a street-skate style sweatshirt, sunglasses and a small stud in his ear. Hi breath smells of alcohol when it's still not even midday. In his other hand he's holding a can of Weiss. I take off my earplugs, thank him and light mi cigarette almost at the same time as him. I hear him mutter something, interrupted by a sob. In his hand he's now holding a piece of paper bent in two, on which he histerically writes numbers that he copies from the mobile phone on the bench. I observe him discreetly. His sobbing turns out to be a badly hidden cry. He takes his phone and starts composing a number. I don't understand why he copies and then composes when he could just call, but I don't ask questions.
When on the other side he gets an answer, I hear him talk about work, or actually about getting fired. I can't make it, he says. He establishes times, in a month or two he could get the anticipated amount. He repeats the same words in the following 4 calls he does. While I watch him with the corner of my eye, I notice tears falling down from underneath his sunglasses. I start feeling uncomfortable, when he realizes I'm looking at him. He introduces himself as M, and so I answer with my name. He feels like giving an explanation and he tells me he's been fired. Cuts, from what I understand, it's something recent, as he tells me. Now he's back on the rent and he has a landlord who obviously wants what is due.
Every word is accompanied by the smell of beer that doesn't quite fit with the time and is quite disturbing to my nose. Even with a salary, between expenses and rent, he barely managed to get to the end of the month, and extras or fun have only been an illusion during the last couple of years. He was counting on a small raise on his salary this year, and he received an invitation to leave his place instead. Now M. has written on that piece of paper a list of friends and acquaintances to which he would try to ask for a little loan to calm the landlord and ge some time to find a new job, but until now everyone said no and now there are only two other numbers to play on the compassion roulette. If these ones will also say no, he'll have to call home. M. isn't from Modena, he's from the center-south. Two years ago he had come here to grab the opportunity of a job, even if modest, that he couldn't even have dreamed of where he came from. Now he's here, without a job and risking to be evicted.
While he sobs he tells me that if he won't find a solution he'll really be forced to call home, maybe even go back there. For him calling home and admitting the situation is a bit like declaring a failure, which he's not willing to accept. He's afraid of the disappointment that he would give his parents, and he also has a girlfriend. Even if with difficulties, M. wanted to start a life here in Modena. But the tape is rewinding and the risk is that he'll have to start again with a thousand uncertainties and broken dreams. Simple dreams, not only M's, but of an entire generation, ours, that with dynamics more or less similar from M's stories, I'm sure they'll empathize.
Who is writing has done so and has felt the need, even if in a simple manner, to tell you this brief episode. M. gets up asking for the time. It's still 20 minutes before the bus that will take him home arrives. I don't give up, he says with a smile, and now I'll go get a pizza. We can't even afford the luxury of immagining capitulation, but on the other side it's time that they start giving us clear and honest answers about what will be our future, because no one is willing to go on like this.
Matteo Castellani Tarabini | contepaz83
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