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martedì 9 ottobre 2012
Social media e pensiero critico: possibile?
Il nuovo libro di Geert Lovink, Ossessioni Collettive, ha riportato l’attenzione sulla questione di una critica dei social media, una riflessione che possa contribuire in maniera determinante allo sviluppo degli strumenti digitali.
A mio avviso oggi questa è una necessità primaria, anche per superare quella fase infantile di stupore che ha accompagnato la storia della rete e successivamente del web 2.0. Molti si stanno affidando ai commenti di operatori dell’informazione, che spesso sono dei parvenù dei linguaggi digitali, e che non comprendono fino in fondo la portata del pensiero che tutto questo sottointende. In realtà il web 2.0, come lo intese O’Reilly non gode di ottima salute, e le promesse di libertà che all’inizio mostrava stanno mostrando la corda. Già Lanier in, You are not a gadget, aveva avvisato di come il web stava morendo e che le app mobile stavano modificando il nostro accesso alle informazioni e ai percorsi d’uso. In questo la scena è dominata dalle discussioni sulle startup, sulla privacy di Facebook e sui, più o meno presunti, attacchi di Anonymous.
Questo è abbastanza futile e distrae dai gangli principali. Sono pochissimi quello che parlano di OldAnon, Newfag e Culture Jammer, oppure 4chan e AdBusters. Eppure queste sono community che stanno ridefinendo il marketing e gli strumenti della viralità, come sottolinea, con la solita puntualita e competenza Giovanni Scrofani nel suo post di Gilda35. Una critica dei social media serve a capire anche come l’economia stia cambiando.
Quando il marketing, altrove più che in Italia, decise di abbandonare la sola logica dei numeri, per abbracciare non solo la comunicazione, ma un corpus di conoscenze più largo, dalla psicologia alla semiotica, dai linguaggi visivi alla scienza dell’interfacce, entrando in una famosa non solo più matura, ma sicuramente più ricca e utile, fu un salto quasi epocale. La campagna elettorale americana si sta combattendo a colpi di meme, eppure il massimo della discussione nel nostro paese, ma non solo, è una teoria sugli effetti e i comportamenti, con un approccio sociologico di basso livello, mentre bisognerebbe andare oltre, a priori, alle dinamiche e ai fenomeni determinanti.
Torniamo al business. Recentemente Arianna Huffington, sappiamo tutti chi è e perchè era a Roma, ha ribadito che per fare una startup bisogna intercettare i bisogni dei mercati e della gente. Nulla di nuovo che non si trovi in qualsiasi manuale di marketing che citi Kotler. Ma se non studi il mondo, se non cerchi di comprenderlo allora hai ben poco da fare. Una critica, un pensiero, uno studio sui linguaggi digitale e sui social media non è solamente uno studio tecnico o tecnologico, ma indaga la contemporaneità. Imprescindibile.
Si parla tanto anche del tema dei Big Data, ma senza gli interpreti, le griglie del sapere e i giusti strumenti, questa enorme mole di dati è molto poco utile. Dobbiamo sempre ricordare che viviamo non in una rete, ma in un insieme di reti che si stanno comprenetrando sempre di più e che non siamo più il centro del mondo. C’è anche la necessità di aprire questi territori a tutti, tentare quindi un alfabetizzazione superiore a molti, accettando critiche e contributi, soprattutto mentre andiamo verso una forte battaglia sullo spazio della libertà in tutto il mondo, dove gli operatori che governeranno il cloud, saranno contati sulle dita di una mano.
Simone Corami | @psymonic
Social media and critical thought: is it possible?
The new book by Geert Lovink, Collective Obsessions, has brought attention on the matter of the critic of social media, an insight that my contribute in a determining manner to the development of digital tools.
In my opinion today this is a primary need, also in order to go beyond the infantile phase of amazement that has accompanied the history of the web and of web 2.0. Many are relying on the comments of operators of information, who often are parvenu of digital languages, and who do not fully understand fully the importance of the thought under all of this. In reality web 2.0, as O'Reilly intended it, isn't doing very well, and the promises of freedom that it showed in the beginning are already showing their weaknesses. Already Lanier in You are not a gadget had warned that the web was dying and the mobile apps were modifying our access to information and usage paths. In this area the scene is dominated by discussions about startups, Facebook privacy and more or less true Anonymous attacks.
This is futile and distracts us from the main issues. There are only a few people who talk about OldAnon, Newfag and Culture Jammer, or 4chan and AdBusters. And yet these are the communities that are redifying marketing and virality tools, as Giovanni Scrofani points out with his usual competence and punctuality in his post on Gilda35. One criticism of social media helps to understand how the economy is changing.
When marketing, aboard more than in Italy, decided to abandon the sole logic of numbers to embrace not only communication, but a wider corpus of knowledge, from psychology to semiotics, from visual languages to the science of interfaces, entering in a phase not only more mature, but surely richer and more useful, it was an epic shift. The American election campaign is being battled among memes, and yet the maximum of discussion in ourc ountry is a theory on effects and behaviors, with a low level sociological approach, while we should go beyond, on dynamics and determining phenomena.
Let's go back to business. Recently Arianna Huffington, we all know who she is and why she was in Rome, has remembered that in order to do a startup you need to intercept the needs of the markets and of the people. Nothing new that you cannot find in any marketing manual that cites Kotler. But if you do not study the world, if you don't try to understand it then you have little to do. One criticism, one though, one study on the digital and social media languages isn't only a technical and technological study, but it studies contemporaneity. It's essential.
There's also a lot of talk on the topic about Big Data, but without interprets, the knowledge grids and the right tools, this enormous amount of data is not useful at all. We must always remember that we live not ina web, but in a collection of webs that are merging more and more, and that we are not the center of the world anymore. There's also the need to open these territories to everyone, trying out an alphabetization superior to many, accepting criticism and contributions, especially while we go towards a strong battle on the liberty space all around the world, where the operators that will govern the cloud will be countable on the fingers of one hand.
Simone Corami | @psymonic
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