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— Il Triste Mietitore (@TristeMietitore) 08 maggio 2013
lunedì 8 ottobre 2012
#Startup italiane: serve solo competitività
Caro Intervistato,
oggi finalmente abbiamo fatto un primo, piccolo, passo per aiutare le “giovani startup” a competere sui mercati internazionali. Sono mesi che si dibatte sui contenuti di questa riforma, e su molti aspetti il “fronte delle startup” è compatto: meno burocrazia e tasse, più banda larga.
Scrivo perché da un lato sono contento: forse per la prima volta in assoluto l’attenzione mainstream è andata a giovani, Internet e progresso tecnologico. Fino a ieri di Internet si leggevano articoli riguardanti pedofilia, truffe e diffamazioni, minando alle fondamenta la fiducia in un ecosistema, un mercato, che in altri Paesi ha fatto (e sta facendo) la differenza.
In questo mercato siamo tutti uguali: dagli indiani che sfornano righe di codice a basso prezzo, agli americani che puntano tutto sul prodotto e la customer experience. Quando una startup italiana, che paga stipendi e tasse in Italia, rilascia un prodotto, entra in competizione con realtà estere che partono decisamente in vantaggio “operativo”.
E prima di andare a sbattere sul muro di tasse e difficoltà di finanziamento, ci sono decine di problemi da affrontare, andando ad intaccare risorse in termini di tempo e denaro. Risorse che vengono sottratte dal prodotto, la cura dei clienti e lo sviluppo del business. Ogni volta che dobbiamo fare una nota di credito per un rimborso (magari di pochi euro), mandare un fax o aspettare la risposta del Commercialista (che attende responso da organi burocratici), porgiamo il fianco ad un concorrente con sede chissà dove che ci brucia in partenza. Un concorrente che investe duemila euro in servizi cloud anziché commercialisti-notai-avvocati, che passa le giornate a risolvere bug del suo software anziché fare la fila in banca o alle Poste.
Ogni volta che assumiamo un bravo programmatore, merce rarissima di questi tempi, ci troviamo a competere sul piano economico (e di benefit) con aziende estere che offrono pacchetti sempre più competitivi a programmatori italiani. I quali peraltro costano meno e sono più bravi. Ok, saltiamo la questione stock options, parliamo di “costo azienda”. Senza andare troppo lontano (Londra, Berlino, ma anche in Canton Ticino) a parità di costo aziendale il “netto in busta” è decisamente superiore. Da un lato significa che una startup italiana per pagare uno stipendio competitivo deve spendere di più (o una risorsa accontentarsi di meno), dall’altro vuol dire che a parità di costi aziendali una startup italiana ha meno risorse a disposizione. Nel frattempo bravi programmatori prendono l’aereo e se ne vanno via.
Dobbiamo aggiungere un altro aspetto, ben più importante: investire in startup significa investire in capitale umano. Per quasi tutti i settori industriali la sfida è trovare il giusto “mix” tra beni strumentali e capitale umano. Dall’industria tessile alla bottega artigianale, per crescere può essere sufficiente un macchinario più performante, da prendere in leasing e mettere in piano d’ammortamento.
Una startup non ha costosi macchinari (eccetto qualche computer, poco più che beni di consumo) ma deve investire tutto su persone che creano codice e poi lo vendono. Persone che costano moltissimo all’azienda, pagano affitti da capogiro e che ogni giorno si ammazzano tra mezzi pubblici e traffico insostenibile. Sui giornali spesso ci si chiede i perché della scarsa produttività pro-capite: basterebbe guardare nella vita dei singoli impiegati e del solco che c’è tra vivere a Milano o Roma e le corrispettive città europee.
Un’altra questione con cui una startup deve fare i conti è la burocrazia. Parlando del mio lavoro ad imprenditori “brick and mortar” spesso sfugge che facendo business online NON si è “sulla stessa barca” degli altri concorrenti. Se la SIAE si inventa l’equo compenso, già memorizzare dati su dischi fissi comprati in Italia costa di più. Se le leggi sulla privacy impongono lacciuoli burocratici nella gestione dei nominativi, noi dobbiamo attenerci alla “compliance” mentre il concorrente americano o berlinese se la cava con una pagina di “privacy policy” e un paio di disclaimer. La burocrazia, quando applicata a chi fa business su Internet, viene pagata dallo Stato due volte: la prima per crearla e fare i dovuti controlli, la seconda nel “deficit di produttività” che le aziende subiscono per stargli appresso (e di conseguenza nella riduzione di utili su cui applicare i nodi delle aliquote fiscali). E questo tralasciando che di principio, per le istituzioni italiane, quello che la legge non prevede NON si può fare (e quindi tutti ad aspettare i comodi della classe politica)…
Nonostante questo, come direbbe il Prof. Frankenstein Jr., “si può fare”! Vendendo ai clienti esteri ci risparmiamo la patetica tiritera dei termini di pagamento e delle fatture non pagate. Si impara molto bene l’inglese, basta tenere acceso Skype e non aver paura di svegliarsi alle 4 di mattina per incontrare un cliente di Melbourne, o un messicano immigrato a Los Angeles che
parla come in GTA. Tutti i clienti non perdono occasione per dire quanto è bella l’Italia, la Ferrari,
la pasta e le giornate di sole quando, sotto Natale, visitano Roma e gli sembra estate.
Caro Intervistato, il “Made in Italy” esiste ancora, è vivo, vegeto e si fonde nelle trame dei pregiati pezzi di codice che le nostre giovani aziende producono e vendono in giro per il mondo. Da parte nostra basta solo parlare un po’ meglio l’inglese e trovare una buona connessione ad Internet (altrimenti la condivisione desktop su Skype non funziona bene)!
Come? Ho dimenticato il discorso tasse e banche? Beh, mica vi ho scritto per sparare sulla croce rossa!
Stefano Pepe | @jimmy3dita
Photo credit: Raymond Larose
Italian startups: we only need some competitivity
Dear Intervistato,
today we finally made a first, small step to help young startups compete on international markets. It's been months since we first started talking about the contents of this reform, and on many aspects the startups field is compact: less bureaucracy and taxes, more broadband.
I write because on the one side I'm happy: perhaps for the first time ever the mainstream attention has gone to young people, Internet and technological progress. Just until yesterday Internet was only the topic for articles about pedofily, diffamation and fraurds, mining from the roots the trust in the ecosystem and the market that in other countries have made the difference.
In this market we're all equal: from Indians who write low cost code, to Americans that put all they have on product and customer experience. When an Italian startup, that pays wages and taxes in Italy, launches a product, it goes into competition with foreign realities that start with a real operative advantage.
And before crashing against the wall of taxes and financing difficulties, there are dozens of problems to face, which eat away resources in terms of time and money. Resources that are taken away from the product, customer care and business development. Every time we need to write a credit note for a reimbursment (even a few euro), send a fax or wait for the answer of the Business Consultant (who in turn waits for answers from bureaucratic organs), we expose our side to a competitor located who knows where, who burns us from the start. A competitor that invests 2000 euro in cloud services instead of business consultants-lawyers-notaries, who spends his days solving software bugs instead of staying in line at the bank or at the post office.
Every time we hire a good programmer, which is rare stuff in these dire times, we find ourselves competing on an economical level (and of benefits) with foreign companies that offer more and more competitive packages to Italian programmers. Which by the way cost less and are better. Ok, let's go beyond the stock options matter, let's talk about the company costs. Without going too far (London, Berlin, but even Switzerland), even though the company costs are the same, the "net" at the end of the month is definitely higher. On the one side it means that an Italian startup must spend more in order to offer a competitive wage, on the other it means that when the company costs are the same, an Italian startup has less resources available. In the meanwhile good programmers take a plane and go away.
We must add another aspect, much more important: investing in a startup means investing in human capital. For almost all industrial fields the challenge is to find the right mix between tools and human capital. From the textile industry to the artizan laboratory, in order to grow even a more efficient machine can be sufficient, one that can be taken in leasing and put in a amortization plan.
A startup doesn't have expensive machinery (except for a few computers, little more than consumer goods) but must invest everything in people who write code and then sell it. People that cost a lot for the company, pay extremely high rents and that every day kill themselves among public means of transportation and unbearable traffic. On the newspapers the question is often why there's a low per capita productivity: it would be enough to look at the life of employees and the gap there is between Milan or Rome and other European cities.
Another matter a startup must cope with is bureaucracy. Talking about my job with brick and mortar entrepreneurs, one may often forget that those who do business online are not on the same boat with other competitors. If SIAE invents a just compensation, even memorizing data on harddisks bought in Italy is more expensive. If the privacy laws impose bureaucratic limitations in the management of names, we must be compliant while an American or Berlinese competitor can get away with a "privacy policy" page and a couple of disclaimers. Bureaucracy, when applied to those who do business on the Internet, is paid by the State twice: the first to create it and control it adequately, the second in the productivity deficit that companies suffer in order to omply (and thus the reduction of revenue to tax). And this withot even tackling the problem that, by principle, for Italian institutions, what the law doesn't contemplate cannot be done (so we all wait for the politicians to do something...).
Despite all this, as Prof. Frankenstein Jr. would say, "we can do it!" Selling to foreign clients saves us the pathetic tribulation of payment terms and not paid bills. You can learn English very well, you just need to keep your Skype account open and not be afraid of waking up at 4 am to meet a client from Melbourne, or a Mexican immigrant in Los Angeles who talks like he were in GTA. Not one client misses the chance to say how beautiful Italy is, Ferrari, pasta and sunny days when at Christmas they visit Rome and it's like it were summer.
Dear Intervistato, Made in Italy still exists, it's alive and kicking and it melts in the web of the precious lines of code that our young companies produce and sell around the world. On our side it's enough to speak English a little bit better and find a good connection to the Internet (or else desktop sharing on Skype doesn't work very well)!
What? I forgot about the taxes and banks issues? Well, I didn't write to shoot on the Red Cross!
Stefano Pepe | @jimmy3dita
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