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martedì 30 ottobre 2012

The Toxic Twitter: l'ecologia della comunicazione (seconda parte)




Noi creiamo il mondo che percepiamo, non perché non esiste realtà fuori dalla nostra mente, ma perché scegliamo e modifichiamo la realtà che vediamo in modo che si adegui alle nostre convinzioni sul mondo in cui viviamo. Si tratta di una funzione necessaria al nostro adattamento e alla nostra sopravvivenza. 
 
Gregory Bateson

Continuiamo. Continuiamo e non finiamo, perchè il digitale è un discorso troppo vasto e forse stiamo utilizzando dei termini impropri per parlarne, perchè la rete è in continua espansione e i social sono solo forme provvisorie che abitiamo ora, ma che fra qualche tempo saranno lasciati in abbandono per altre pratiche ed esperienze. Necessitiamo di una nuova ecologia della mente, visto che siamo immersi in un'esperienza talmente totalizzante che non sappiamo quali saranno le conseguenze a lungo termine. E' un cambiamento d'ambiente, a tutti i livelli, talmente profondo, considerato anche l'aumento esponenziale della velocità dei processi, che non conosce precedenti né con l'invenzione stampa, né con la rivoluzione industriale, nè con l'era televisiva. Eppure noi continuiamo ad usare i nostri schemi per analizzare questo paradigma, proseguiamo nel voler adattare il cambiamento a noi, mentre continuiamo ad essere modificati. Questo è un punto che deve essere chiaro: la produzione dei discorsi come prodotto intellettuale e sociale vive una mutazione. Avremmo bisogno di un altro Bateson e di un altro Foucault, soprattutto perchè è la "struttura" ad essere andata in crisi.

Bieber ha il cancro! Non è vero, ma quanti c'hanno creduto? Quanti si sono rasati la testa in segno di solidarietà? Quanti hanno messo uno status di Facebook, pare scritto da sedicenti avvocati, credendo che così le autorità non potessero monitorare le loro attività sui social? Sembra di essere tornati al tempo televisivo, quando la si prendeva come oracolo, solo che qui è tutto "aumentato" ed in maniera esponenziale. Se per la tv non bastava spegnerla, per la rete meno che mai. Siamo perennemente connessi, continuamente elettrizzati e soprattutto si cercano cose affini, non si sfida il nuovo.

Qui non siamo alla repressione, qui siamo al governo, se non al suo autoritarismo, del loisir, della suggestione, Il Mondo Nuovo di Huxley ha stravinto sul Grande Fratello di Orwell. Il controllo non è su quello che fai ma su quello che acquisti, sulla sfera emotiva, caricando di stress i soggetti della comunità, che siamo tutti noi. Tutto questo "inquina" i nostri processi percettivi, li modifica, anche se non siamo consapevoli, ma basta pensare a come oggi si scrive un post, un blogger quasi automaticamente pensa già a cosa scrivere perchè il suo post sia indicizzato al meglio, se poi parliamo di Twitter, si ragiona in 140 caratteri, e per Instagram sappiamo che l'autoscatto è inutile perchè farsi una foto da soli è uno stile, meglio se si vede lo smartphone più modaiolo.

Abbiamo bisogno di una nuova ecologia della comunicazione per una comprensione del mezzo, ma soprattutto che riesca a capire come comunicare e che linguaggi usare in questo nuovo ambiente, che non è neanche un medium, ma una sinestesia fortemente pervasiva. La rete è un iceberg, in questo momento siamo sulla punta e abbiamo bisogno di scendere di più per capire cosa c'è alla base. Il mio dubbio è che non ci sia la voglia di farlo. Perchè? Perchè sotto fa freddo e non ci sono luci colorate.

Simone Corami | @psymonic


The Toxic Twitter: ecology of communication (second part)

We create the world we perceive, not because there is no reality outside our mind, but because we choose and modify the reality we see in order to make it coherent with our convictions about the world we live in. It's a necessary function to our survival and adaptation.
Gregory Bateson

Let's continue. We continue and don't finish, because digital is a way too vast argument and maybe we're using the wrong terms to talk about it, because the web is in continous expansion and social networks are only temporary forms that we use now, but that after a while will be abandoned in favor of other practices and experiences. We need a new ecology of the mind, since we are submersed in an experience that is so totalizing that we don't know what the long term consequences will be.

It is a change of environment at all levels, and so deep, considering the exponential increase of process speed, that it doesn't have precedents nor with the invention of print, nor with the industrial revolution, nor with the television era. And yet we continue to use our schemes to analyze this paradigm, we keep trying to adapt the change to ourselves, as we continue to be modified by it. This is a point that needs to be clear: the production of speeches as an intellectual and social product is living a mutation. We'd need another Bateson and another Foucault, especially because it is the "structure" that is in crisis.

Bieber has cancer! it's not true, but how many believed it? How many have shaved their heads in sign of solidarity? How many have published a Facebook status, apparently written by some lawyers, believing that it would stop authorities from monitoring their activities on social media? We seem to have gone back to the television time, when we believed it as an oracle, only that here everything is "augmented", and exponentially. If it wasn't enough to turn off the TV, the web is even worse. We're constantly connected, continuously electrified and most of all we look for things that have similarities, we don't look for something new. This is not repression, this is the government, its authoritarism, the loisir, the suggestion, and Huxley's New World has won over Orwell's Big Brother.

The control isn't on what you do but on what you buy, on your emotions sphere, and charging the member of the community with stress. All of this "pollutes" our perceptive processes, it modifies them, even though we're not aware of it, but it would be enough to think about how today we write a post, a blogger almost automatically thinks about what to write in order to indicize it at its best, and if we talk about Twitter, we start thinking in 140 characters, and for Instagram we know that autosnap is useless because taking a picture of yourself is a style, better yet if the latest smartphone is visible in the shot.

We need a new ecology of communication in order to understand the medium, but especially that is capable of understanding how to communicate and what languages to use in this new environment, which isn't even a medium, but a strongly pervasive synesthesy. The web is an iceberg, at the moment we're on its top and we need to go down in order to understand what lays underneath. My doubt is that there's no will to do it. Why? Because underneath it's cold and there are no colorful lights.

Simone Corami | @psymonic

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