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giovedì 22 novembre 2012
#Gaza e #Israele, la lunga strada verso la pace in #Palestina
Il conflitto tra Israele e Palestina si protrae ormai da decenni, tra escalation violente e fugaci tentativi di trovare un qualche accordo di pace. Ma fino a che mancherà la volontà politica degli interessati e della comunità internazionale sarà difficile trovare una soluzione definitiva.
Qualche giorno fa il presidente dell'autorità palestinese, Abu Mazen aveva rilasciato un'intervista alla TV israeliana Channel 2 in cui di fatto accettava la soluzione a due stati (riconoscendo quindi Israele) ma ribadendo il punto sui confini che per Abu Mazen devono essere quelli del 1967.
L'altra cosa da sottolineare è, almeno a parole, la rinuncia al diritto dei profughi di Palestina al ritorno nella loro terra. Lui stesso ha dichiarato che avrebbe visitato Safed (città in cui è nato) da turista. Queste dichiarazioni hanno ovviamente attirato critiche su di lui da parte della sua gente, ma Abu Mazen aveva anche fatto capire di non essere sicuro che i profughi del 1948 (sparsi tra Giordania, Libano e Siria) avessero davvero voglia di tornare ora dopo anni di integrazione in quei paesi.
Il punto fermo nelle trattative rimane però l'interruzione dell'espansione degli insediamenti israeliani durante i negoziati. Ovviamente Israele da quel punto di vista non intende ragione, e anzi ha approvato la costruzione di altre colonie. Allo stesso modo nessuna risposta da parte di Netanyahu sulla questione dei confini.
Insomma, Abu Mazen aveva praticamente calato i calzoni in quella intervista, ma dal lato Israeliano invece che afferrare la palla al balzo si è preferito di fatto ignorare le sue parole dialoganti e procedere con l'azione Pillar of Defense, iniziando con l'uccisione di Ahmed Jabari, e questo ha rafforzato Hamas legittimandone l'azione. A chi giova? Beh diciamo che il fatto che Israele sia sotto elezioni ha probabilmente portato Netanyahu a decidere per l'intervento (già programmato) per arginare quell'opposizione che invece mette sul tavolo le questioni economiche e sociali (ad esempio quella) degli affitti denunciata anche dal movimento J14.
Perciò mostrarsi deciso sul caso Gaza è probabilmente un tentativo di spostare l'attenzione dell'israeliano medio su fattori esterni al paese. Dall'altro lato Hamas con le sue azioni tenta di apparire come l'unica alternativa (vista anche la corruzione di Fatah) agli occhi dei palestinesi, e l'unica in grado di rispondere ad Israele, con lo stesso soldo: azioni violente. Ma di più, ottenendo il sostegno di molti paesi arabi e l'appoggio importante dell'Egitto.
Questo indebolisce fortemente quella parte moderata e predisposta al dialogo diplomatico che è rappresentata da Abu Mazen e dall' ANP e legittima ulteriormente i falchi di Hamas (già forti del consenso elettorale nei territori di Gaza). I cortei di protesta contro il governo di Abu Mazen organizzati negli ultimi giorni all'interno della West Bank ne sono una prova.
Ci si ritrova così, da un lato con due forze politiche palestinesi, Hamas e Fatah, incapaci di trovare un percorso comune e dall'altro con un Governo Israeliano che continua, nonostante le (deboli) proteste della comunità internazionale, ad espandere gli insediamenti oltre ad una serie di altre azioni messe in atto nei confronti dei palestinesi che nessuno (o quasi) durante l'anno viene a raccontarvi quasi mai.
Ad esempio di come viene razionata (per non dire privata) la fornitura d'acqua ai villaggi palestinesi a favore degli insediamenti israeliani che sorgono nei pressi, e che lì non dovrebbero stare. E nessuno viene a raccontarti delle ore e ore di fila che un palestinese, per bambino, donna o anziano che sia, deve affrontare ogni giorno per arrivare dal lato opposto di un check-point militare. Ma c'è di peggio. Nessun paese occidentale, cosiddetto democratico, nonostante azioni aberranti come quella che fu Piombo Fuso, ha avuto e ha tutt'ora il coraggio di opporsi diplomaticamente ad Israele. In barba ai principi di civiltà e democrazia.
In tutto questo roboante drammatico teatrino politico portato avanti a suon di bombe e missili chi ci rimette sono sempre i più deboli, i bambini, le donne, i civili inermi che la così acclamata guerra chirurgica israeliana falcia ad ogni attacco nella striscia di Gaza. E lo stesso vale per Israele e i suoi abitanti vittime di missili e attentati che per quanto di minor efficacia portano comunque danni e vittime.
Fino a che gli equilibri saranno lasciati nelle mani di forze politiche mal disposte al compromesso e alla trattativa, fino a che gli organismi internazionali non si decideranno ad applicare con coraggio sanzioni anche all'alleato intoccabile Israeliano, i cittadini dei rispettivi paesi saranno loro malgrado vittime di un gioco politico di cui le generazioni di oggi pagano le conseguenze senza avere in fin dei conti la colpa del peccato originale.
Intanto, mentre scrivo questo articolo arriva l'annuncio di un accordo di cessate il fuoco. Quanto sarà duratura questa tregua non è dato saperlo. Quello che invece sarà fondamentale è l'impegno della diplomazia tutta affinché in questa finestra di tregua riesca a trovare le basi per riaprire un road map che porti alla pace.
In calce ho pensato di raccogliere in uno storify alcuni articoli che ho pensato potessero esser utili ad approfondire il tema.
Matteo Castellani Tarabini | @contepaz83
Gaza and Israel, the long road towards peace in Palestine
The conflict between Israel and Palestine has been going on for decades, among violent escalations and brief attempts to find a peace agreement. But until the political will of those who are interested and of the international community will be lacking, it will be difficult to find a definite solution.
A few days ago the president of the Palestinian authority, Abu Mazen, had given an interview to the Israeli TV Channel 2, during which he practically accepted the two state solution (recognizing Israel), but stressing the point that the borders should be those of 1967.
The other thing is, at least in words, the fact that he gave up the right for Palestinian refugees to go back to their lands. He stated that he visited Safed, his birth city, as a tourist himself. These statements have obviously attracted criticism from his own people, but Abu Mazen had also made clear that he wasn't sure that refugees from 1948, scattered in Jordan, Libanon and Syria, actually wanted to come back after years of integration in those countries.
The one point that doesn't change is the interruption of the expansion of Israeli settlements during negotiations. Obviously Israel doesn't want to discuss this matter, and has approved the building of other colonies. Same thing on behalf of Netanyahu on the matter of borders.
So basically Abu Mazen had lowered his pants in that interview, but on the Israeli part they preferred to ignore his words instead of catching the opportunity, and the proceeded with the action Pillar of Defense, starting with the killing of Ahmed Jabari, which has enforced Hamas and legitimated its action. Who benefits from all this? Let's say that the fact that Israel is under elections has probably brought Netanyahu to decide for the (already programmed) intervention in order to confine that opposition that talks about the economical and social matters, (for example) the problem of rents tackled by the J14 movement.
So proving himself very firm on the Gaza case is probably an attempt to shift attention of the medium Israeli on factors that are outside of the country. On the other side Hamas with its actions tries to appear as the only alternative (given the corruption of Fatah) to the eyes of Palestinians, and the only one capable to respond to Israel with the same coin: violent actions. Even more, obtaining the support of many Arabic countries and the vital support of Egypt.
This weakens strongly the moderate side, the one open to diplomatic dialogue represented by Abu Mazen and the ANP, and legitimates Hamas' eagles even more (they're already strong because of the electoral consent in Gaza territories). The protest manifestations against the Abu Mazen government organized during these last few days inside the West Bank are a proof of it.
So here we are, with two political Palestininan forces on the one side, Hamas and Fatah, incapable of finding a common path, and on the other side an Israeli Government that continues, in spite of the (weak) protests of the international community, to expand its settlements, apart from a series of other actions against Palestininans that nobody (or almost) says anything about during the year.
Like the way water supplies are rationalized or stopped altogether in Palestinian villages in favor of Israeli settlements growing nearby, and that shouldn't even be there. And nobody tells you about the hours of line that a Palestinina, be it child or woman or old man, must face every day in order to get on the opposite side of a military check-point. But there's worse. No western country, which can call itself democratical, in spite of absurd actions such as Melted Lead, has had and has the courage of opposing diplomatic resistance to Israel. So much for civilization and democracy principles.
In all this roaring drammatic, political theatre brought forward on the sound of bombs and rockets who loses are always the weakest, the children, the women, the helpless civilians that the so praised surgical Israeli war brings down with every attack to the Gaza strip. And the same is true for Israel and its civilians, victims of rockets and attacks that, even though are not as effective, still cause damage and victims.
Until the balance will be left in the hands of political forces that aren't open to compromise and negotiation, until the international organisms won't decide to apply with courage sanctions even to the untouchable Israeli ally, the citizens of those countries will be victims of a political game in which today's generations pay the consequences without even being guilty of the original sin.
In the meanwhile, as I write this article the announcement of a cease fire truce arrives. How long it will last, we cannot know. What will be fundamental is the diplomacy work so that this truce window may find the basis to reopen a road map that bring to peace.
Finally, I thought to put together a storify with some articles which I though might be useful to better analyze the topic.
Matteo Castellani Tarabini | @contepaz83
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