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venerdì 16 novembre 2012

La narrazione liquida



Chissà se Baumann si rendeva conto di come e quanto la sua definizione di liquidità avrebbe descritto e influenzato le nostre abitudini e i nostri consumi. 

Ci pensavo mentre leggevo, proprio qui su Intervistato, l'ottimo post di Jacopo Paoletti che trattava di medium e contenuto liquido, centrando il focus su formato e distribuzione. Una riflessione quasi obbligatoria visto come si sta trasformando l'intrattenimento, ma non solo, dato che il marketing stesso è protagonista di questa trasformazione.

Cambierà molto, dal romanzo al turismo, dal cinema al cibo. Siamo oltre l'epoca del 2.0, che sta esprimendo il suo canto del cigno secondo alcuni autorevoli commentatori. Siamo anche oltre la social tv e i suoi comportamenti, siamo di fronte al passaggio del testo, usato in senso macro, oggettivo al testo soggettivo.

Prima è stata la distribuzione di un testo complesso e composito per vari canali e formati, ottimo esempio è stato Matrix, che fra film, animazione e videogiochi, costruì una narrazione disseminando nei vari formati elementi delle storie e dei mondi che lo componevano. Eppure la liquidità è anche il superamento della società dell'apparenza pura, supera i famosi 15 minuti di Wahrol, perché esprime la fragilità del nostro status dove tutti vanno alla ricerca della distinzione all'interno del gruppo, della propria nicchia: è la teoria della lunga coda applicata al corpus sociale.

Tutto questo ha portato all'abbandono dell'oggettività e all'esplosione della soggettività, basta guardare alla diffusione del fenomeno biografie, degli instant book, oppure ai libri "scritti" da sportivi, comici e altri personaggi dello spettacolo. Diventa una ricerca di aneddoti e non di pensiero, una ricerca dove si cerca di riconoscere il simile e non la differenza. Protagonista di questo è il tag che funge da bussola in un oceano di storie senza percorsi e soprattutto senza struttura. De kerckhove lo descrisse in un libro purtroppo mai pubblicato, affermò che il tag era liquido.

In tutto questo quello che perdiamo è la struttura come la conosciamo, certo a favore di polifonia e polisemia che diventa corale, basta guardare come è cambiato il cinema, pensato a tutti i film con molti personaggi che hanno molti protagonisti e tutti con un "io narrante", oppure che lavorano su sentieri temporali asincronici. Tutto questo è l'effetto decostruzionista, ben descritto da Derrida, prima dell'avvento della rete, e dalla sua definizione di Disseminazione dove si perde continuamente il riferimento dell'origine e del senso. Però non basta.

C'è una nuova dimensione e per comprenderla bisogna tornare indietro, a un pensatore straordinario che non ha segnato solamente il novecento, ma anche il nostro contemporaneo: Walter Benjamin. Il flaneur, invenzione di Baudelaire, ma esplicato in Passegen-Werk del filosofo tedesco, naviga tra le reti e le app. creando percorsi nuovi e propri. Non è saldo, bensì insicuro e a volte claudicante perché il novecento è stato spazzato via, non ci sono più le Expò, anche se proviamo ancora a replicarle, c'è solo spazio fatto di elementi in cui dobbiamo creare linguaggi nuovi, ci sono frammenti che serviranno a creare nuove strutture con forme diverse.

"Il cristallo non è debolezza, ma raffinatezza" dice Alex Supertramp, protagonista di Into The Wild, lasciandoci con l'onere del montaggio dei frammenti che si creano, sempre di più e sempre di più velocemente, è l'entropia di Philip Dick, della palta come diceva in Ma gli androidi sognano pecore elettriche?.

La questione più nostra non è il montaggio dei frammenti, ma come montarli, è la vera sfida del post-presente, come dico io, della contemporaneità. E' come avere un mobile Ikea del quale dobbiamo scrivere il foglietto delle istruzioni.

Simone Corami | @psymonic


Liquid narration

Who knows whether Baumann realized how and how much is definition of liquid would have described and influenced our habits and our purchases.

I thought about it as I read, here on Intervistato, the great post by Jacopo Paoletti about media and liquid content, focusing on format and distribution. An insight that is almost mandatory considering how entertainment is changing, but not only, since marketing itself is a protagonist of this change.

Much will change, from novels to tourism, from cinema to food. We're beyond the 2.0 era, which is singing its last song, in the opinion of some experts. We're also beyond social tv and its behaviors, we're standing in front of the passage of text, used in a macro sense, objectively, to the subjective text.

First it was the distribution of a complex text on various channels and formats, great example was Matrix, which among film, animation and videogames, managed to build a narration by disseminating in various formats elements of the stories and the worlds that composed it. And yet the liquidity is also overcoming the society of pure appearence, beyond Wahrol's famous 15 minutes, because it expresses the fragility of our status where everyone is looking for distinction inside the group, inside their own niche: it's the theory of long tail applied to the social corpus.

All this has brought to the abandon of objectivity and the explosion of subjectivity, just look at the phenomenon of biographies, instant books, or books written by athletes, comedians and other showbiz people. It becomes a research for anecdotes and not for thought, a research where you try to recognize what's similar and not what's different. Protagonist of all this is the tag that works as a compass in an ocean of stories without paths and especially without structure. De kerckhove described it in an unpublished book, and said that the tag is liquid.

In all of this, what we lose is structure as we know it, in favor of poliphony and polisemy that becomes coral, just look at how the cinema has changed, think of all the movies with a lot of characters with a lot of protagonists and all of them with a narrating "I", or that work on asynchronic temporal paths. All this is the deconstructionist effect, well described by Derrida, before the web, and the definition of Dissemination where you continuously lose reference of origin and sense. But it's not enough.

There's a new dimension and in order to understand it we must go back to an extraordinary thinker that hasn't only marked the 20th century, but also our own contemporaneity: Walter Benjamin. The flaneur, invention of Baudelaire, but explained in Passegen-Werk of the German philosopher, navigates among webs and apps, creating new and proper paths. It's not steady, but unsure and sometimes limping because the 20th century has been swept away, there are no longer Expos, even if we still try to replicate them, there's only space made of elements in which we must create new languages, there are fragments that will serve to create new structures with different shapes.

"Crystal isn't weakness, it's refinement" says Alex Supertramp, protagonist of Into The Wild, leaving us with the task to edit the fragments that are generated, more and more rapidly, it's Philip Dick's entropy, as he said in "Do androids dream of electrical sheep"?

The matter that regards us most isn't the editing of framents, but how to edit them, it's the true challenge of the post-present, as I say, of contemporaneity. It's like having an Ikea piece of furniture for which we must write the instructions manual.

Simone Corami | @psymonic

1 commento :

d. ha detto...

Ecco i libri "scritti" da sportivi, comici e altri personaggi dello spettacolo semplicemente non vanno comprati. Neanche pubblicarli si dovrebbe. E' vero, lo so che c'è un pubblico disposto a qualsiasi cosa, ma allora anche la coprofagia ha una sua dignità perché qualcuno la pratica. Quello che manca è il coraggio di rifiutare, di non ammettere, di non tollerare. Siamo democratici, no? Eppure la menzogna più grande è che che tutti possono fare tutto...

Vabbé per tornare sulla terra... ottimi i riferimenti alla vista lunga di Baudelaire e Benjamin. In ogni caso sarebbe opportuno rileggere Guido Guglielmi interprete di Ungaretti e di Artaud sulla morte del testo, di cui lo stesso Derrida fece una bella introduzione per Einaudi.

Saluti

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