▼ Il tweet del giorno

lunedì 31 dicembre 2012

Buon 2013 a tutti



Ci siamo, anche quest’anno è passato. Il 2012 è stato intenso, fatto di lavoro, scogli (spesso superati) ma anche soddisfazioni. Il 2013 è alle porte e con lui un altro anno dell’avventura Intervistato.com che negli ultimi mesi ha sperimentato, è cresciuto, sia come numeri che come famiglia. 

Lungo il percorso si sono aggiunte altre valorose persone che con il loro contributo hanno reso possibili questi risultati. Un grazie particolare va a loro, che ci hanno dedicato tempo e che hanno creduto in noi. La strada è ancora lunga e irta di ostacoli, ma siamo cocciuti. Ci siamo presi questo periodo tra una festa e l’altra per tirare il fiato, riflettere, riordinare le idee e capire quali percorsi seguire nei prossimi mesi.  Il prossimo anno sarà quello più ostico, quello in cui per forza di cose si deve mettere in gioco tutto, il punto di non ritorno. Nel bene o nel male. 

Noi ci saremo. E la speranza è che ci siate anche voi che seguite stoicamente il nostro lavoro. Ma non staremo qui a parlavi di novità, futuri progetti o quant’altro. Non è il momento, e comunque lo scoprirete volta per volta. E’ invece il momento, per il team di Intervistato, di fare gli auguri per uno straordinario 2013 a tutti voi che ci seguite, nella buona e nella cattiva sorte, a volte sostenendoci altre criticandoci, ma comunque rendendo possibile questo progetto.

E visto che voi siete parte integrante di tutto questo cogliamo l’occasione per chiedervi chi vorreste vedere intervistato nella prossima stagione. Se volete potete farlo, utilizzando questo form. Noi dal canto nostro proveremo, come abbiamo sempre fatto in questi anni, a raccontare le realtà più interessanti e le persone che ci stanno dietro. Perché questo è quello che ci piace e che sappiamo fare meglio. Dare voce alle persone, conversare, connetterle.

Ci si rivede nel 2013.

Nel frattempo, ecco i migliori post d'opinione e le migliori interviste del 2012, per ripercorrere insieme questo anno fatto di tanti contenuti di spessore.

Post d'opinione
1) Il falso mito dell'italiano sfaticato e del tedesco super efficiente
2) #iPhone 5: così #Apple paga lo scotto dell’innovazione open source
3) Armi di distrazione di massa

Interviste scritte
1) Nichi Vendola
2) Laura Olin
3) Pierluigi Bersani

Interviste lunghe
1) Brian Solis
2) Diego Bianchi
3) Fabrizio Goria

StartupID
1) Paolo Franceschetti di SOLWA
2) Antonio Tomarchio di Beintoo
3) Stefano Passatordi di Searcheeze

Interviste brevi - 10minuticon
1) Francesco Lanza
2) Antonio Lupetti
3) Alessio Giannone Pinuccio

Auguri di Buon Anno a tutti, con il cuore!

Il team di @intervistato



Happy 2013 to everyone from Intervistato.com!


Here we are, this year has gone as well. 2012 was intense, made of hard work, lots of obstacles (often successfully overcome), but also many satisfactions. 2013 is at the doors and with it another year of the Intervistato.com adventure that in the last few months has experimented and grown, both in numbers and in the group.

Along the way many valuable people have joined us and have made these results possible with their contribution. A great thanks goes to them, who have dedicated their time and have believed in us. The way is still long and full of dangers, but we're stubborn. We've taken these days between holidays to take a big breath, think, reorder ideas and figure out what to do in the next few months. This year will be the most difficult, the one in which we'll have to give it all, the point of no return. For the good or the bad.

We'll be there. And the hope is that you will also be there, following our work. But we won't talk about the news, future projects and so on. This is not the right time, and you'll discover them little by little anyway. It is the time, for the team at Intervistato, to send you the warmest greetings for an extraordinary 2013, to everyone of you, in the good and the bad, those who sustain us by praise or by constructive criticism, but making this project possible nonetheless.

And since you are an integrating part of all of this, we're going to take advantage of this opportunity to ask who you'd like us to interview during the next season. If you want, you can propose someone by using this form. We'll try, as always, to talk about the most interesting realities and the people behind them. Because this is what we like and that we do best. Giving a voice to people, talk, connect.

See you in 2013!

In the meanwhile, here are the best posts and interviews of 2012, to explore together a year made of many substancial contents:

Posts
1) The false myth of Italian inefficiency and German perfection
2) iPhone 5: this is how Apple pays the toll of open source innovation 
3) Weapons of mass distraction

Written interviews

Long interviews

StartupID

Short interviews

Happy New Year to everyone!

The Intervistato.com team

sabato 22 dicembre 2012

#Spioncino: Trenini elettrici sotto un ciliegio



Cafè Lumière di H. Hsiao-Hsien

Ozu era un regista che innanzitutto con le sue immagini basse e stabili catturava, come farfalle, le inezie che pullulano e operano nella vita che fluisce e che grazie a esse piano piano si fa largo verso il suo centro o enigma.

Dava l’impressione di preferire gli spazi chiusi, le stanze delle case e degli uffici, forse perché gli “interni” tendono alla gestazione del rito, alla formazione di comportamenti come cristalli, di gesti come segnaletiche di fumo, di ritmi come stra...
tagemmi. Ma è un’impressione basata sulla quantità.

Poi infatti passava (spesso con il suo solo sguardo, mantenendo i personaggi lì dove stavano) alle piccole strade della città ornate di insegne di negozi e scale improvvise oppure alle linee mosse e alle prospettive atletiche dell’aria aperta. Dove quel reticolo di “intraazioni” che aveva nidificato tra le mura si irradia e si rende sottilmente trasparente. Né escludeva, il narratore Ozu, del resto, contro quella campana di vetro, in quell’ordinamento di fatti bene imballati, l’avvento di episodi traumatici e decisivi; ma anche in questo caso la m.d.p., con tempismo, andava a cercare fuori, anche se solo per un breve momento, una esperienza visiva sintetica dell’urto o del lutto prodottosi.

Ozu applica cioè al cinema, tra i primi e come pochi dopo di lui, la dottrina del correlativo oggettivo. Che poi non è altro che il balenio appartato e schivante di un complesso di emozioni localizzato nei dintorni; il riflesso di lampione che si versa sull’asfalto dal marciapiede di uno stato d’animo. Un pezzo degli scacchi (per esempio la torre, che incapsula sotto il velo della sua forma di corona apocrifa la condizione cartesiana delle sue circostanze). In fondo, una esauriente, fulminea confessione indiretta.

Ozu è anche un artefice di treni. Che proliferano nei suoi film come orologi daliniani, quasi immateriali nel loro continuo misautenticare lo spazio o sparigliare le carte. Supercorrelativi oggettivi. Nervature di foglia della metropoli e sommario destino delle loro proprie destinazioni. Come se si inquadrassero, in uno spettacolo di burattini, solo i fili mossi dal burattinai e niente altro.

Qualche anno fa un regista cinese, Hou Hsiao-Hsien (nome triadico con cui quasi si aggiudica la H, come Kafka la K o il calciatore inglese che segna una tripletta il pallone), venne incaricato di realizzare un film per celebrare l’anniversario della morte di Ozu. Il mandato era di farlo “alla maniera di Ozu”. Il regista cinese si reca in Giappone (ed è divertente immaginarlo incamminarsi con l’attrezzatura sulle spalle e attraversare il confine a piedi, come Herzog o un personaggio di Herzog).

Il film che è sgorgato da questa pericolosa sorgente mi emozionò tantissimo, e io ancora non conoscevo le opere di Ozu. Sedevo in quinta fila del Palabiennale di Venezia, circa a mezzanotte, dopo la visione di quattro film. Non avevo mai visto cinque film in un giorno. Ero stanco e avevo molto sonno. Ero pronto a una battaglia (kubrikiana) per tenere gli occhi “funzionanti”, convinto in effetti che mi sarei presto arreso e addio al muscolare record. Non so perché (non credo ci sia una ragione logica, l’apprezzamento delle prime scene del film non basta, il sonno è sonno, è stata solo una fortuna), smisi di soffrire la stanchezza e riuscii a guardare tutto il film come se mi fossi alzato da qualche minuto al termine di una notte di sonno lunga e serena.

La storia è quella di una ragazza che fa cose come queste: occuparsi della pulizia della casa tenendo sempre una finestra aperta e spesso affacciandosi e prendendo luce come una pianta; entrare in un caffè e mettersi a sfogliare in un angolo del locale un libro illustrato che narra di rapimenti e nordici fantasmi e che un amico le ha procurato; restare in piedi accanto al suo amico mentre lui escogita un videogioco tutto iridescente di sinuosissimi treni; scattare qualche fotografia alle facciate dei palazzi che la incuriosiscono (la m.d.p. si sposta lenta da lei alla facciata, quasi lei potesse sfiorare con le dita quelle facciate, quasi che scattare una fotografia significhi tendere la mano, non fare rumore e rimboccare le coperte agli oggetti e alle forme fotografate).

Cose che sono appena appena qualcosa, se viste da noi spettatori con postura ufficiale e frontale. Ma cose che sprigionano miriadi di effetti (molecolari, sopraffini) se viste con un altro umore o ingegno. La storia di una ragazza, che vive in Giappone, che ha un corpo e ha una sua andatura per le vie della città (un suo modo di entrare in una stanza e di lasciarla), e che durante la sua vacanza dal lavoro fa cose di silenzio e pazienza e poi a conclusione della giornata se ne va a letto. Come un trenino giocattolo che si ripone nella sua confezione dopo le ore così soddisfacenti passate a guardare montarlo vagone dopo vagone (io ricordo la inutile lettura ad alta voce che facevo delle istruzioni a chi lo montava per me – per “partecipare”).

Avrei solo in seguito amato i film di Ozu ma avevo appena assistito con incanto a questo prelibato fenomeno di un regista cinese di oggi che ricordava e sognava un principe del cinema giapponese di ieri attraverso il corpo e il volto distesi e finemente illuminati di una sensibile ragazza giapponese.

Francesco Romeo | #spioncino


Electric trains under a cherry tree

Ozu was a director that first of all with his low and stabile images captured, as butterflies, the unimportant things that fill and operate in the life that flows and that thanks to them little by little makes its way towards its center or enigma.

He gave the impression of preferring closed spaces, the rooms of homes and offices, maybe because the "interiors" tend to the gestation of the ritual, the formation of behaviors like crystals, of signs like smoke signs, rithms like stratagems. But it is an impression based on quantity.

Then infact he went (often with just the look, maintaining the characters where they were) to the small streets of the city, ornated by store signs and sudden stairs or wavy lines and athletic perspectives of open air. Nor did he exclude, Ozu the narrator, by the way, against that bell of glass, in the ordinament of well packaged facts, the coming of traumatic or decisive episodes; but even in this case the camera went to search outside, even if only for a moment, a visual experience that could synthetize the hit or the mourning that just happened.

Ozu applies to the cinema, among the first and a few after him, the doctrine of objective correlative. That is nothing else but the solitary glimpse of a complex of emotions localized in the surroundings; the reflex of a light on the asphalt from the sidewalk of a sensation. A piece of chess (for example the tower, that incapsulates under the veil of its crown the cartesian condition of its circumstances). In the end a sudden indirect confession.

Ozu è anche un artefice di treni. Che proliferano nei suoi film come orologi daliniani, quasi immateriali nel loro continuo misautenticare lo spazio o sparigliare le carte. Supercorrelativi oggettivi. Nervature di foglia della metropoli e sommario destino delle loro proprie destinazioni. Come se si inquadrassero, in uno spettacolo di burattini, solo i fili mossi dal burattinai e niente altro.
Qualche anno fa un regista cinese, Hou Htsiao Htsien (nome triadico con cui quasi si aggiudica la H, come Kafka la K o il calciatore inglese che segna una tripletta il pallone), venne incaricato di realizzare un film per celebrare l’anniversario della morte di Ozu. Il mandato era di farlo “alla maniera di Ozu”. Il regista cinese si reca in Giappone (ed è divertente immaginarlo incamminarsi con l’attrezzatura sulle spalle e attraversare il confine a piedi, come Herzog o un personaggio di Herzog).

Il film che è sgorgato da questa pericolosa sorgente mi emozionò tantissimo, e io ancora non conoscevo le opere di Ozu. Sedevo in quinta fila del Palabiennale di Venezia, circa a mezzanotte, dopo la visione di quattro film. Non avevo mai visto cinque film in un giorno. Ero stanco e avevo molto sonno. Ero pronto a una battaglia (kubrikiana) per tenere gli occhi “funzionanti”, convinto in effetti che mi sarei presto arreso e addio al muscolare record. Non so perché (non credo ci sia una ragione logica, l’apprezzamento delle prime scene del film non basta, il sonno è sonno, è stata solo una fortuna), smisi di soffrire la stanchezza e riuscii a guardare tutto il film come se mi fossi alzato da qualche minuto al termine di una notte di sonno lunga e serena.

La storia è quella di una ragazza che fa cose come queste: occuparsi della pulizia della casa tenendo sempre una finestra aperta e spesso affacciandosi e prendendo luce come una pianta; entrare in un caffè e mettersi a sfogliare in un angolo del locale un libro illustrato che narra di rapimenti e nordici fantasmi e che un amico le ha procurato; restare in piedi accanto al suo amico mentre lui escogita un videogioco tutto iridescente di sinuosissimi treni; scattare qualche fotografia alle facciate dei palazzi che la incuriosiscono (la m.d.p. si sposta lenta da lei alla facciata, quasi lei potesse sfiorare con le dita quelle facciate, quasi che scattare una fotografia significhi tendere la mano, non fare rumore e rimboccare le coperte agli oggetti e alle forme fotografate).

Cose che sono appena appena qualcosa, se viste da noi spettatori con postura ufficiale e frontale. Ma cose che sprigionano miriadi di effetti (molecolari, sopraffini) se viste con un altro umore o ingegno. La storia di una ragazza, che vive in Giappone, che ha un corpo e ha una sua andatura per le vie della città (un suo modo di entrare in una stanza e di lasciarla), e che durante la sua vacanza dal lavoro fa cose di silenzio e pazienza e poi a conclusione della giornata se ne va a letto. Come un trenino giocattolo che si ripone nella sua confezione dopo le ore così soddisfacenti passate a guardare montarlo vagone dopo vagone (io ricordo la inutile lettura ad alta voce che facevo delle istruzioni a chi lo montava per me – per “partecipare”).

Avrei solo in seguito amato i film di Ozu ma avevo appena assistito con incanto a questo prelibato fenomeno di un regista cinese di oggi che ricordava e sognava un principe del cinema giapponese di ieri attraverso il corpo e il volto distesi e finemente illuminati di una sensibile ragazza giapponese.


Francesco Romeo | #spioncino

venerdì 21 dicembre 2012

StartupID | Phil Libin di Evernote @plibin



Quest'intervista per la rubrica StartupID è Phil Libin, CEO di Evernote, un'app di note taking multipiattaforma pensata in modo particolare per i dispositivi mobile.



StartupID è la rubrica realizzata in collaborazione con Indigeni Digitali e dedicata al mondo delle startup.


Evernote è nata nel 2007 dalla fusione di due squadre distinte: la prima, guidata da Stepan Pachikov, che si occupava di memory capture e riconoscimento di immagini in California, e quella di Phil Libin, che faceva ricerca su argomenti simili a Boston. I due hanno quindi deciso di unire le due squadre, e il primo prodotto Evernote è stato reso disponibile al pubblico nel 2008. [video]

Sicuramente ci saranno nuove integrazioni e funzionalità di Evernote in futuro: la visione è quella di creare un cervello esterno, a cui affidare qualsiasi tipo di ricordo, per tutta la vita. Per questo motivo è stato pensato come strumento cross-platform, in modo che funzioni su qualsiasi browser, piattaforma, gadget, telefono o computer una persona possa usare.
Sono in via di sviluppo anche integrazioni più agevoli per i calendari e le to-do list. [video]

L'obiettivo di Evernote è di rendere le persone più produttive grazie a un "secondo cervello", aspetto che costituisce il core service, ma che prevede molte modalità per inserire e recuperare le informazioni. Alcune app sono sviluppate direttamente da Evernote, altre da terze parti, ma con Evernote Hello ed Evernote Food è diventato ancora più evidente che lo scopo è di fornire un'esperienza straordinaria di utilizzo, a prescindere dall'ambito. [video]

La ricerca sulla ricognizione di immagini era il core della squadra di Stepan, che negli anni '80 - '90 ha lavorato alle feature di ricognizione dello scritto a mano per Apple Newton, il primo palmare per come vengono definiti oggi . Il concetto che ci sta dietro è molto semplice: la maggior parte dei nostri ricordi sono visivi per natura, quindi la parte di ricerca più consistente in questo momento è concentrata sulla ricerca di parole dentro le immagini. I server di Evernote elaborano le immagini e applicano diversi algoritmi per il riconoscimento di lettere e parole e per l'individuazione della lingua.

Le immagini vengono quindi indicizzate per la ricerca, combinando le informazioni sul testo contenuto a informazioni aggiuntive sulla location, data e ora, e creando un rich index che permette di contestualizzare qualsiasi informazione venga affidata a Evernote[video]

Il prodotto conta 22 milioni di utenti in tutto il mondo, più del doppio rispetto a soli sei mesi fa: attualmente infatti Evernote guadagna 60.000 nuovi utenti al giorno. L'azienda inoltre ha circa 9.000 developer esterni che sviluppano app che si integrano con il prodotto Evernote[video]

Le prospettive per il futuro sono difficili da definire, se non per il breve termine. Phil ci ha detto con certezza, però, che uno degli obiettivi più importanti per il 2012 sarà l'espansione in Europa dato che nel 2011 ci si è concentrati maggiormente sui mercati asiatici. Sarà cruciale capire quali sono le partnership possibili e quali le necessità degli utenti europei, considerando anche il fatto che, grazie all'incredibile crescita degli ultimi due mesi, il mercato europeo rappresenta nel suo complesso il mercato più grande di Evernote[video]

Recentemente è stato inaugurato anche l'ufficio europeo di Evernote, con sede a Zurigo, con un focus molto marcato sul product development. Lo scopo è di sviluppare parti di Evernote in diversi posti nel mondo, in modo tale da combinare le migliori capacità e idee che si possano trovare.
In Europa stanno quindi stipulando diverse partnership, la prima delle quali è con Orange - France, e cercando collaborazioni con developer europei. [video]

Invito tutti a visionare l'intervista integrale, molto più ricca di dettagli e insight rispetto a questa mia breve sintesi.

Buona visione!

Maria Petrescu


StartupID | Phil Libin of Evernote

This interview for StartupID is with Phil Libin, CEO of Evernote, a multiplatform note taking app which was designed specifically for mobile devices.

Evernote was born in 2007 from the fusion of two teams: the first, led by Stepan Pachikov, which was doing research on memory capture and handwriting recognition in California, and the second, led by Phil Libin, that was doing research on similar concepts in Boston. They met and decided to unite the two teams in 2007, and the first ever Evernote product was launched in 2008. [video]

There will most certainly be new integrations and functions of Evernote in the future: the vision is to create an external brain, where you can store any kind of memory for life. This is the reason why it has been designed to be cross-platform, so that it will work on any browser, platform, gadget, phone or computer you have. Some new integrations for calendaring and todo lists are being developed during these weeks. [video]

Evernote's goal is to make people more productive thanks to a second brain, which is the core service, but it has a lot different ways to get information in and out of it. Some apps are developed directly by Evernote, other by third party developers, but with Evernote Hello and Evernote Food it has become even more evident that the aim is to provide a unique use experience, regardless of the context. [video]

The research on image recognition was Stepan's team's core, the same team that in the '80s and 90's has worked on the handwriting recognition feature for the Apple Newton, which was the first ever tablet. The concept is very simple: most of our memories are visual in nature, so the most important part of the research is how to find text inside images. Evernote's servers elaborate the images and apply different algorythms for the recognition of letters, words, and the language itself.

The images are then indexed for research, combining information about the text inside them with additional info about location, date and time, creating a rich index that allows you to have context for any information stored in Evernote[video]

The product has 22 milion users around the world, more than double than 6 months ago: Evernote is getting 60.000 new users a day. The company has 9.000 external developers that work on apps that integrate with Evernote[video]

The perspectives for the future are hard to define, if not for the short term. Phil told us that the most important goal for 2012 will be spreading in Europe, considering that in 2011 they have concentrated more on the Asian market. It will be crucial to understand what the possible partnerships and European users' needs are, also because considering the incredible growth of the past two months, Europe as a whole is Evernote's biggest market. [video]

Evernote's European office in Zurich has been recently opened, and they are focused on product development. The goal is to develop different parts of Evernote in different parts of the world, so that they can get the best ideas and the best designs possible. They are already working on several partnerships in Europe, the first of which has been announced just a few days ago and is with Orange - France, but other collaborations of this kind are on their way. They are also looking for European developers to collaborate with. [video]

I invite everyone to view the full interview, much richer in detail and insight than my brief synthesis.

Enjoy!

Maria Petrescu

giovedì 20 dicembre 2012

L'inerzia dell'informazione genera mostri



Il mese scorso mi sono occupata della questione (di vita e di morte, ammetteremo) del murale di Francesco Totti a rione Monti - quello che, per intenderci, è stato imbrattato da tifosi laziali dopo anni di onorata... facciata. 

Storia che ha scatenato le ire della tifoseria capitolina e creato un non trascurabile putiferio, mettendo insieme a sproposito temi come ‘arte’, ‘cultura’ e ‘sport’, in un miscuglio non troppo convincente. Ma tant’è.

In quei giorni il presidente del Primo Municipio (che ha la giurisdizione di Roma Centro, e, appunto, del Rione Monti) dichiarò ad una nota testata romana che si sarebbe occupato della riqualificazione del murale. Senza specificare con che modalità. E che ci vuole?, si potrà giustamente addurre: bastava chiedere; chiedere chi si sarebbe occupato del restauro, con quali fondi, con quali permessi e, soprattutto, con quali motivazioni.

Orbene, a distanza di due settimane dalla polemica, nessuno si era ancora degnato di porre alcuna delle precedenti domande, con il risultato che non era stata data nessuna delle rispettive risposte. In sostituzione, però, erano arrivate (e continuano ad arrivare) lettere ed email minatorie e deluse, di cui la più illustre rappresentante termina con un “Nel salutarla le URLO un FORZA LAZIO!” (cit.): vi risparmio il resto, cioè fiumi di parole di sintassi opinabile sputate contro una classe politica che spreca, sperpera e scialacqua i nostri soldi per sciocchezze.

Eppure, come anticipato, bastava chiedere. Nell’occasione mi è stato infatti spiegato e documentato che i fondi, la manodopera e persino l’idea stessa del restauro era puramente volontaria ed esterna al Municipio – e, dunque, ai nostri soldi. Ed effettivamente bastava un minimo di buonsenso a capire che dietro un’iniziativa del genere non potevano esserci quegli stessi finanziamenti che, com’è noto, non bastano nemmeno per comprare le penne negli uffici di Roma Capitale.

Non parliamo di massimi sistemi, ma tutto ciò porta, essenzialmente, a un ragionamento.

La frenesia anticasta degli ultimi tempi (che il M5S ha ricercato e procacciato), se da un lato ha risvegliato le menti, dall’altro ha abituato ad un concetto di informazione incosciente, che passa solo attraverso canali - o personaggi - prestabiliti, senza approfondimento esterno ad essi. Ma la colpa si può trovare anche altrove: l’importanza assunta dal social sharing per la diffusione virale dei contenuti ci ha dato l’illusione di avere tra le dita ciò che prima era retaggio dei soli giornalisti (quelli con il tesserino), con la conseguente convinzione di avere la realtà sotto controllo -  o meglio, di poterla controllare, potenzialmente, in qualunque momento. Il tempo di tirar fuori lo smartphone dalla tasca.

E come ogni cosa facile che si dà per scontata, l’informazione sta scivolando, lentamente, nell’inerzia di esistere: ecco che un pezzo di 1200 battute, magari letto sulla metropolitana mentre si va al lavoro, un titolo nella home, oppure un tweet di un’agenzia di stampa (o peggio, di qualcuno che seguiamo) diventano uniche fonti di verità incontestabili. Nessuno ne abbia a male. I ritmi necessari per portare a casa la pagnotta ci costringono a ridurre i tempi per qualsiasi cosa.Tutto sta, però, nell’averne coscienza: perchè ora che i meccanismi di vendita dei giornali sono noti Urbi et Orbi, non è più molto accettabile un dito puntato senza cognizione.

Siamo d’accordo, ed è più che scontato che non sia un caso. Eccezion fatta dei professionisti dell’informazione, avere la possibilità di andare oltre la notizia è, giocoforza, un lusso che davvero in pochi possono permettersi: mentre i canali si moltiplicano e l’ipertesto dispiega la realtà in infinite possibilità, ci rimane ancora difficile – paradosso tra i paradossi - verificare con puntualità ciò che leggiamo o vediamo. E quel che manca, nella maggioranza dei casi, più che la volontà, è il tempo: entità impalpabile, solo per ricchi.

Carol Verde | @car0lverde


The inertia of information generates monsters

Last month I dealt with the matter (quite trivial, it is true) of Francesco Totti's mural in the Monti district - the one that has been soiled by Lazio fans after years of honorable presence.

A story that has inflamed the anger of the Rome fans and created a scandal that cannot be ignored, putting together - wrongly - topics such as art, culture and sports, in a not very convincing mix. But that's the way it goes.

Those days the president of the First Municiple (which has jurisdiction on Roma Center and the Monti district) declared to a renown Rome newspaper that he would have dealt with the riqualification of the mural. Without specifying how. What's to it? one could say: it was enough to ask; ask who would do the repairing, with what funds, with what permissions and most of all with what motivations.

Well, now, after two weeks from the scandal, nobody has taken the time to ask any of the previous questions, with the result that none of the corresponding answers has yet been given. In exchange, though, the office had received and is still receiving letters and emails of threat and disappointment, one of which ends with a "In saluting you I shout a GO LAZIO!" (cit.): I'll spare you the rest, which is a flood of words with a bizarre syntax launched against a political class that wastes, spends and squanders our money for rubbish.

And yet, as we said earlier, it would have been enough to ask. With this occasion I've been told that the funds, the manpower and even the idea itself of the reparations was purely voluntary and external to the Municiple - and, hence, our money. And infact it would have been enough to have a bit of sense to understand that behind such an initiative there couldn't be the same financing that, as we all know - isn't enough to buy pens for the offices of Rome Capital.

We're not talking about complicated stuff, but all of this brings us essencially to one reasoning.

The recent anticaste frenzy  (that the M5S has researched and encouraged), if on the one side has awoken minds, on the other has gotten us used to irresponsible information, which passes only through predetermined channels or characters, without further inquiries around them. But we can also find elsewhere: the importance of social sharing per la diffusione virale dei contenuti ci ha dato l’illusione di avere tra le dita ciò che prima era retaggio dei soli giornalisti (quelli con il tesserino), con la conseguente convinzione di avere la realtà sotto controllo -  o meglio, di poterla controllare, potenzialmente, in qualunque momento. Il tempo di tirar fuori lo smartphone dalla tasca.

E come ogni cosa facile che si dà per scontata, l’informazione sta scivolando, lentamente, nell’inerzia di esistere: ecco che un pezzo di 1200 battute, magari letto sulla metropolitana mentre si va al lavoro, un titolo nella home, oppure un tweet di un’agenzia di stampa (o peggio, di qualcuno che seguiamo) diventano uniche fonti di verità incontestabili. Nessuno ne abbia a male. I ritmi necessari per portare a casa la pagnotta ci costringono a ridurre i tempi per qualsiasi cosa.Tutto sta, però, nell’averne coscienza: perchè ora che i meccanismi di vendita dei giornali sono noti Urbi et Orbi, non è più molto accettabile un dito puntato senza cognizione.

Siamo d’accordo, ed è più che scontato che non sia un caso. Eccezion fatta dei professionisti dell’informazione, avere la possibilità di andare oltre la notizia è, giocoforza, un lusso che davvero in pochi possono permettersi: mentre i canali si moltiplicano e l’ipertesto dispiega la realtà in infinite possibilità, ci rimane ancora difficile – paradosso tra i paradossi - verificare con puntualità ciò che leggiamo o vediamo. E quel che manca, nella maggioranza dei casi, più che la volontà, è il tempo: entità impalpabile, solo per ricchi.

Carol Verde | @car0lverde

mercoledì 19 dicembre 2012

L'Internet delle cose è già realtà, e cambierà tutto #IoT



“340 Undecillion”  Un numero quasi impronunciabile, 340 trilioni di trilioni di trilioni, o 2x10^38, se preferite. Un numero con 39 cifre che corrisponde agli indirizzi assegnabili dall’ IPv6, il successore dell’IPv4, oramai vecchio di 31 anni, ma ancora largamente in uso. 

Perchè è importante, questo IPv6 ? Beh, innanzitutto perchè va a colmare uno dei limiti del vecchio protocollo, ovvero, il “basso” numero di indirizzi attuali che stanno diventando sempre più rari e costosi, ma sopratutto potrebbe dare il via in modo clamoroso a quello che viene chiamato ”Internet delle cose” (IoT / Internet of Things).

Il momento è quello giusto: le tecnologie attuali permettono di condensare in poco spazio e a poco costo degli oggetti “smart” che, fino a poco tempo fa, erano impensabili; si pensi solo al già citato Raspberry_PI, ma anche alle italianissime schede Arduino, e molte altre che si stanno affacciando al mercato e agli sviluppatori.

L’argomento è nell’aria già da qualche anno, ma, grazie anche appunto alle schede low cost come Arduino e alcuni servizi pionieri, come COSM (ex Patchube) e l’italiano Paraimpu è già possibile creare in poco tempo delle applicazioni che facciano da “ponte” tra il mondo fisico e il mondo della rete. Ultimamente, alcuni produttori di elettronica di consumo, come Belkin, hanno cominciato a produrre degli interruttori comandabili da remoto direttamente da PC o Smartphone, ma anche da servizi come IFTTT; il che apre parecchie possibilità alla fantasia, si pensi solo che IFTTT ha, al momento, 59 canali, che vanno da Twitter a Facebook a Dropbox, tutti interfacciabili con un dispositivo fisico.

L’esempio più lampante è quello di poter, ad esempio, accendere una lampadina con un check in di foursquare, o un tweet. E se le lampadine fossero 12, e fossero montate su un Albero di Natale? E’ L’esperimento che si stà tenendo a Lonate Pozzolo, dove un Albero di Natale di 12 metri, realizzato con 34.000 bottiglie di plastica riciclate, si accende mediante parole chiave come “pace”, “amore”, “gioia” e altre; il tutto grazie a Paraimpu e alcune schede Arduino.

Altri oggetti che stanno arrivando sul mercato sono i termostati NEST, oggetti intelligenti e di design (NEST è stato realizzato dallo stesso creatore dell’ iPod),  ma molto arriverà nei prossimi mesi. La Cina ha deciso di investire 800 milioni di dollari nell IoT, i fabbricanti di chip stanno sfornando oggetti sempre più piccoli e in grado di dialogare ( tipicamente via IP) con altri oggetti e con servizi centrali. Alcuni servizi già ci sono, altri ne nasceranno sicuramente, appoggiati ai grandi Cloud e al BigData.

L’IPv6, come già detto, è stato lanciato ufficialmente quest’anno, ed è in grado di mappare, teoricamente, ogni oggetto di questa terra, tanto che qualcuno ha già azzardato che in un prossimo futuro sarà possibile tracciare la vita delle banconote da 20 Dollari, che risultano essere tra le più falsificate.

Noi, più realisticamente, ci aspettiamo che finalmente gli elettrodomestici che abbiamo in casa comincino a dialogare tra loro, non solo per dirci che in frigo il latte è finito, ma anche e sopratutto in ottica di risparmio energetico, ottimizzazione e domotica. L’internet delle cose è già realtà, e cambierà tutto.

Luca Perencin | @No_CQRT


The Internet of Things is already a reality and will change everything

"340" Undecillion" - an almost impossible to pronounce number, 340 trillions of trillions of trillions, or 2x10^38, if you prefer. A number with 39 digits that corresponds to the addresses that the IPv6 can assign, the successor of the IPv4, now 31 years old, and still largely in use.

Why is it important, this IPv6? Well, first of all because it fills one of the gaps of the old protocol, which is the low number of current addresses that are becoming more and more rare and expensive, but mostly because it might allow the kickoff of what is called Internet of Things.

It's the right time: the current technologies allow to condense in a little space and with little money smart objects that would have been unthinkable. Just think about the Raspberry_PI, but also the Italian Arduino boards, and others that are just now starting to appear on the market and among developers.

L’argomento è nell’aria già da qualche anno, ma, grazie anche appunto alle schede low cost come Arduino e alcuni servizi pionieri, come COSM (ex Patchube) e l’italiano Paraimpu (paraimpu.com) è già possibile creare in poco tempo delle applicazioni che facciano da “ponte” tra il mondo fisico e il mondo della rete. Ultimamente, alcuni produttori di elettronica di consumo, come Belkin, hanno cominciato a produrre degli interruttori comandabili da remoto direttamente da PC o Smartphone, ma anche da servizi come IFTTT; il che apre parecchie possibilità alla fantasia, si pensi solo che IFTTT ha, al momento, 59 canali, che vanno da Twitter a Facebook a Dropbox, tutti interfacciabili con un dispositivo fisico.

L’esempio più lampante è quello di poter, ad esempio, accendere una lampadina con un check in di foursquare, o un tweet. E se le lampadine fossero 12, e fossero montate su un Albero di Natale? E’ L’esperimento che si stà tenendo a Lonate Pozzolo, dove un Albero di Natale di 12 metri, realizzato con 34.000 bottiglie di plastica riciclate, si accende mediante parole chiave come “pace”, “amore”, “gioia” e altre; il tutto grazie a Paraimpu e alcune schede Arduino. (www.ecoalbero.it)

Altri oggetti che stanno arrivando sul mercato sono i termostati NEST, oggetti intelligenti e di design (NEST è stato realizzato dallo stesso creatore dell’ iPod),  ma molto arriverà nei prossimi mesi; La Cina ha deciso di investire 800 milioni di dollari nell IoT, i fabbricanti di chip stanno sfornando oggetti sempre più piccoli e in grado di dialogare ( tipicamente via IP) con altri oggetti e con servizi centrali. Alcuni servizi già ci sono, altri ne nasceranno sicuramente, appoggiati ai grandi Cloud e al BigData.

L’IPv6, come già detto, è stato lanciato ufficialmente quest’anno, ed è in grado di mappare, teoricamente, ogni oggetto di questa terra, tanto che qualcuno ha già azzardato che in un prossimo futuro sarà possibile tracciare la vita delle banconote da 20 Dollari, che risultano essere tra le più falsificate.

Noi, più realisticamente, ci aspettiamo che finalmente gli elettrodomestici che abbiamo in casa comincino a dialogare tra loro, non solo per dirci che in frigo il latte è finito, ma anche e sopratutto in ottica di risparmio energetico, ottimizzazione e domotica. L’internet delle cose è già realtà, e cambierà tutto.

Luca Perencin | @No_CQRT

lunedì 17 dicembre 2012

Il gioco dell'influenza è solo un massaggio dell'ego



Klout. Kred. Ci sono sempre più sistemi che dicono di poter misurare quanta influenza abbiamo nel mondo online. Ci sono molte persone che monitorano i loro punteggi su questi siti come un falco osserva la propria preda. 

Se i numeri aumentano, gioiscono e tentano di capire cos'hanno fatto per ottenere quel beneficio. Se i numeri diminuiscono, si lamentano e si chiedono cosa possano fare per recuperare rapidamente.

Man mano che Klout e Kred continuano a invecchiare nel marketplace, sempre più persone sono inclini a credere che qualche misurazione dell'influenza sarà necessaria nel mondo online, e successivamente nel mondo del business. A dire il vero, alcune aziende considerano già i punteggi Klout e Kred come parte del loro successo di assunzioni.

Come marketer, tutto ciò mi rattrista. Per me, se la tua responsabilità è promuovere i prodotti della tua azienda, o i prodotti di un'altra azienda, il "gioco" non dovrebbe avere a che fare con te. Monitorare il tuo Klout o Kred score, cercare di far vincere al tuo blog tanti premi e badge, che cosa dice veramente sulla tua abilità di promuovere un brand che non sia te stesso? Un Klout score alto indica che capisci le complicazioni di un brand? Indica che saresti in grado di salvare una compagnia dalle sofferenze economiche oppure di prodotto?

La dura, fredda verità è che il gioco dell'influenza è una cosa diversa. E' un gioco di massaggio dell'ego. E' un modo per promuovere te stesso come individuo. E' un modo per avere una pacca sulla spalla dal mondo online basato su piattaforme che possono essere facilmente raggirate. Ora, per certi settori, questo potrebbe essere utile. Se sei un celebrity promoter, per esempio, la tua abilità di dare visibilità a una persona grazie alla gamification può essere molto utile. Il mondo marketing di oggi, tuttavia, è molto più complesso di quanto possa misurare uno score di Klout.

Dovresti evitare completamente di controllare il tuo score di Klout o Kred? Non andrei così lontano. Occasionalmente io lo controllo per curiosità. Me ne preoccupo? Assolutamente no. Non mi preoccupo nemmeno del traffico sul mio blog. So che sta andando bene se ingaggia conversazione e condivisioni. Se qualcuno lo trova utile, ho fatto il mio lavoro. Se aiuto a far luce su un problema di marketing, ho provato il mio valore, e penso in un modo molto più credibile che dire a qualcuno che ho influenza con molti +K.

Ovviamente, è possibile che stia guardando la questione nel modo sbagliato. Certamente sembro un salmone che nuota controcorrente in questa conversazione in evoluzione. Cosa ne pensate? Se sei un marketer, la tua "influenza" online è tanto importante quanto i risultati che produci?

Marjorie Clayman | @margieclayman


The Influence Game is Just Ego Massage

Klout. Kred. Increasingly there are systems sprouting that claim they can measure how influential you are in the online world. There are a lot of people who watch their numbers on these sites much like a hawk watches its prey. If the numbers go up they rejoice and attempt to figure out what they did to gain such benefits. If the numbers go down they lament their fortune and wonder how they can recover quickly.

As Klout and Kred continue to age in the marketplace, more and more people are leaning towards the belief that some measurement of influence is going to become necessary in the online world, followed by the business world. Indeed, some companies are already considering Klout and Kred scores as part of their hiring process.

As a marketer, this all saddens me. To me, if your responsibility is to promote your company’s products, or another company’s products, the “game” should not be about you. Monitoring your Klout score or your Kred score, trying to get your blog lots of awards and badges, what does that REALLY say about your ability to promote a brand other than yourself? Does a high Klout score indicate that you understand the intricacies of branding? Does a high Kred score indicate that you would be able to save a company suffering from product or monetary problems?

The cold, hard truth is that the influence game is really something else. It’s an ego massage game. It’s a way to promote yourself as an individual. It’s a way to get a slap on the back from the online world based on platforms that can easily be gamed. Now for some industries, this could prove useful. If you’re a celebrity promoter, for example, your ability to give a person high exposure via gamification can come in handy. Today’s marketing world, though, is far more complex than what a simple Klout score can measure.

Should you completely avoid looking at your Klout or Kred score? I wouldn’t necessarily go that far. I occasionally check in just as a point of interest. Do I worry about it? Absolutely not. I don’t even worry about my blog’s traffic. I know the blog is performing well if it garners conversation and/or shares. If someone finds it useful, I’ve done my job. If I help shine the light on a marketing problem, I’ve proven my worth, and I think in a far more credible way than telling someone I’m influential with a lot of +Ks.

Of course, it’s possible that I’m looking at this all wrong. I certainly seem to be a salmon swimming upstream in this evolving conversation. What do you think though? If you’re a marketer, is your “influence” online as important as the results you produce?

Marjorie Clayman | @margieclayman

Verso un paese civicamente alfabetizzato



Con tutta probabilità non sarà l'ultima puntata dell'ondata di partecipazione che ha piacevolmente travolto il centrosinistra, l'appassionante frenesia democratica - infatti- potrebbe compiersi anche negli ultimissimi giorni dell'anno con le primarie dei parlamentari. 

Intanto in Lombardia si è concluso il primo tempo di una partita che idealmente si gioca all'ombra del Pirellone, ma che fattualmente avrà ripercussioni oltre i confini regionali.

“Siamo forti perché abbiamo a cuore i problemi di tutti, non solamente le esigenze di alcuni. Siamo forti perché siamo liberi, e non siamo legati né a mondi particolari né a centri di interesse. Non abbiamo nessuna ragione di pensare che questa volta, le nostre ragioni, non vinceranno come meritano di vincere.”

Umberto Ambrosoli uscendo vincitore dalle primarie di coalizione, è il candidato del centrosinistra per la presidenza di Regione Lombardia e con queste parole, sabato notte si è incamminato sul percorso che tra meno di due mesi potrebbe portarlo a sedere sullo scranno più alto di Palazzo Lombardia.

“Tutto cambi affinché non si ripetano più gli errori del passato”, il nuovo postulato impone inverte il principio del gattopardismo, quella maledizione tutta italiana che politicamente non riusciamo a lasciarci alle spalle. Ma nelle parole di Ambrosoli c’è un’altra politica. Una politica che i cittadini lombardi, dopo 17 anni di formigonismo faticano a ricordare, la stessa politica che con le diversità del caso, ha portato Giuliano Pisapia a diventare Sindaco di Milano nel 2011.

L’ascolto dei territori, il rispetto per i cittadini e per le istituzioni. La legalità come metodo e l’impegno verso il bene comune nel merito. La Lombardia ha davanti a sé l’occasione del riscatto, un riscatto che per adesso ha il volto di Umberto Ambrosoli ma che da domani dovrà necessariamente assumere le sembianze dei cittadini che vorranno impegnarsi per cambiare questo pezzo di Italia. 
Rigenerazione. Morale, metodologica. Perché la politica torni ad assumersi la responsabilità civico-pedagogica dell’oggi investendo prepotentemente sul domani. Il vento può cambiare, l'abbiamo visto, ma lo scoramento è il peggior nemico della spinta verso la discontinuità.

Quel che è certo è che la Lombardia non è inespugnabile; sarà una campagna elettorale dura, impegnativa ma non per la presunta forza degli avversari, sarà una campagna impegnativa perché i cittadini Lombardi dovranno dimostrare al resto del paese che la politica non si declina solo in scandali, inchieste e poltrone. 

Politica è lavorare, insieme, per assicurare alla collettività un presente giusto e un futuro migliore; la buona politica attecchisce solo se la società decide di parlare al plurale e se i cittadini accettano di impegnarsi per rigenerare le istituzioni. Dice bene Ambrosoli: "ciascuno di noi deve assumersi la responsabilità dell'esserci", solo così diventeremo un paese civicamente alfabetizzato.

Erica Sirgiovanni | @erica_sir


Towards a civically alphabetized country

With all probability it won't be the last episode of the participation wave that has pleasantly flooded the center-left wing, the passionate democratic frenzy - in fact - it might happen even in the very last days of the year with the Parliament primaries.

In the meanwhile in Lombardy the first half of a game that ideally is played in the shadow of the Pirellone has just finished, but it will have factual consequences beyond the Region's boundaries.

"We're strong because we care about everyone's problems, not only the needs of some. We're strong because we're free, and we're not tied to particular worlds or centers of interest. We have no reason to think that this time our reasons won't win, as they deserve to."

Umberto Ambrosoli uscendo vincitore dalle primarie di coalizione, è il candidato del centrosinistra per la presidenza di Regione Lombardia e con queste parole, sabato notte si è incamminato sul percorso che tra meno di due mesi potrebbe portarlo a sedere sullo scranno più alto di Palazzo Lombardia.

“Tutto cambi affinché non si ripetano più gli errori del passato”, il nuovo postulato impone inverte il principio del gattopardismo, quella maledizione tutta italiana che politicamente non riusciamo a lasciarci alle spalle. Ma nelle parole di Ambrosoli c’è un’altra politica. Una politica che i cittadini lombardi, dopo 17 anni di formigonismo faticano a ricordare, la stessa politica che con le diversità del caso, ha portato Giuliano Pisapia a diventare Sindaco di Milano nel 2011.

L’ascolto dei territori, il rispetto per i cittadini e per le istituzioni. La legalità come metodo e l’impegno verso il bene comune nel merito. La Lombardia ha davanti a se l’occasione del riscatto, un riscatto che per adesso ha il volto di Umberto Ambrosoli ma che da domani dovrà necessariamente assumere le sembianze dei cittadini che vorranno impegnarsi per cambiare questo pezzo di Italia.
Rigenerazione. Morale, metodologica. Perché la politica torni ad assumersi la responsabilità civico-pedagogica dell’oggi investendo prepotentemente sul domani. Il vento può cambiare, l'abbiamo visto ma lo scoramento è il peggior nemico della spinta verso la discontinuità.

Quel che è certo è che la Lombardia non è inespugnabile; sarà una campagna elettorale dura, impegnativa ma non per la presunta forza degli avversari, sarà una campagna impegnativa perché i cittadini Lombardi dovranno dimostrare al resto del paese che la politica non si declina solo in scandali, inchieste e poltrone.

Politica è lavorare, insieme, per assicurare alla collettività un presente giusto e un futuro migliore; la buona politica attecchisce solo se la società decide di parlare al plurale e se i cittadini accettano di impegnarsi per rigenerare le istituzioni. Dice bene Ambrosoli: "ciascuno di noi deve assumersi la responsabilità dell'esserci", solo così diventeremo un paese civicamente alfabetizzato.

Erica Sirgiovanni | @erica_sir

sabato 15 dicembre 2012

#Spioncino: Luci sull'assassino



Piena luce sull'assassinio di G.Franju

Il titolo è una versione spinta del noto paradosso di E.A.Poe alla base del racconto La lettera rubata, in cui appunto il documento che inchioderebbe il presunto responsabile di un assassinio non si riesce a trovare dopo le più accurate ricerche: l’assassino la fa franca mettendo la lettera in bella mostra al centro della sua scrivania.

In questo film l’assassinio è nascosto dalle luci; anche se in realtà presto sapremo che si è trattato di un auto-assassinio (ciò che appunto è confacente alla segnatura autoriflessiva dell’opera). Un morto, pertanto, occulta se stesso. Si tratta del conte proprietario del castello. In fin di vita per una malattia al cuore, indossa l’abito dei Cavalieri di Malta, e si ritira in un vano che si trova dietro lo specchio della sua stanza. Muore dando corda a una bambola che suona l’arpa: quando la musica della finta arpa cessa, cessa il respiro del conte. Muore tenendo in mano la sua Rosebud, il suo fattore di incessante connivenza con l’oro dell’infanzia, il feticcio con cui “slittare” nel proprio passato remoto (un’arpa lo arpiona). Il suicidio come una delle belle arti.

Il curatore testamentario spiega agli eredi designati che clinicamente non c’è dubbio che il conte sia morto, ma che l’eredità non potrà essere conferita prima di 5 anni se il cadavere non sarà ritrovato. Intanto, vediamo il corpo del conte con gli occhi ormai spenti che “guarda” verso i suoi parenti già in lite tra loro nella stanza. Lo specchio infatti è come quello dei “riconoscimenti” della polizia. Gli aspiranti eredi sono già (architettonicamente) gli indiziati. E il conte? Il conte è appunto il nostro “corrispondente”, una versione post mortem di noi spettatori, “fissato” in una poltrona speciale di fronte al dipanarsi delle vicende dei famelici eredi. Il castello è lì ma inafferrabile.

E’ il castello di Kafka. Anzi, in questo caso l’autore in un certo senso si spinge oltre. Kafka installava la sua anticamera perpetua (per dirla con Kundera e alludendo, attraverso la parola italiana, alla macchina da presa o a quella ur-macchina da presa che è la realizzazione della sceneggiatura) ai piedi del castello; il conte fa del castello l’anticamera beffarda di se stesso. La linea invalicabile che bloccherà all’interno del palazzo i protagonisti di L’angelo vendicatore di Bunuel è già tracciata, nessuno potrà avere il castello, nessuno uscirà dal castello. Ma parte ugualmente la caccia al tesoro. Il tesoro è il cadavere del conte.

Nel frattempo la ragazza di uno degli insoliti cercatori d’oro ha un’idea per far fruttare il castello in modo che si possano pagare le eventuali tasse relative. Ricostruire attraverso luci e suoni, e nei posti reali, la leggenda di tradimento e uccisione che risale al medioevo e a quel conte che fu primo proprietario del castello. Si impiantano luci e megafoni, gli abitanti forzosi del castello si cimentano in duelli perché i rumori delle spade che si incrociano siano registrati e al momento giusto riprodotti, e via proseguendo. Insomma si fa cinema, cinema ricondotto al suo scheletro elettrico o alla sua filigrana incandescente di suoni e luci. “Ad arte”. Senza smettere intento di cercare.

La mia opinione è che il vero tesoro che si sta cercando sia il cinema stesso. Che per dar vita alle sue singole visioni e ai suoi singoli racconti ogni volta muore. Ogni volta si inventa una tomba. Lasciando a noi spettatori, novelli Buoni Brutti e Cattivi, di rintracciarla in un cimitero eslege e dilatato, con l’onere e la facoltà di adoperare per la ricerca gli stessi materiali di cui è fatto l’oggetto ricercato, proprio come si dà la caccia a un fuggiasco attraverso l’odore dell’evaso sfruttando oltre che l’olfatto speciale dei cani un brandello di vestito dell’evaso. Come nella reggia di Xanadu le statue innumeri e il ricco bestiario dei giardini, gli arredi di mille stanze e i seriali specchi, rendono C.F.Kane moltiplicatamene solo, così il cinema ogni volta sguinzaglia la sua ombra e propala il suo silenzio tramite il coacervo di barbagli e rumori di ogni storia narrata.

Il cinema insiste a sfarsi sineddoche di se stesso (sibilando). Gioca a nascondino con la infallibile vitalità di un gruppo affiatato di bambini  e si polverizza come un suicida nel crepitio e nel fulgore di un rogo in cui fiamma cancella fiamma (per Adorno la grande opera d’arte si realizza tendendo alla distruzione di se stessa). Il cinema  procrastina nell’ opera attuale la rivelazione della sua propria essenza (ma ogni volta la scorderemo): vita vestita in abito  ornato e antico e nuda morte. Come un elegante ardente Cavaliere di Malta. Come un’arpa suonata da mani competenti che sono sul punto di gelarsi.

Francesco Romeo | #spioncino


Spotlight on a murderer

The title is an exaggerated version of the renown E.A.Poe paradox at the base of the story "The stolen letter" in which the document that would incriminate the responsible of a killing isn't found even after the most accurate research: the killer manages to escape by putting the letter in full sight in the middle of his desk.

In this movie the murder is hidden by lights; even though in reality we'll soon find out that it was an auto-assassination (which is very adequate in the autoreflexive nature of the work). A dead man hides himself. It's the count, owner of the castle. At the end of the rope because of a heart condition, he wears his Malta Chevaliers outfit, and goes into a secret vane behind the mirror of his room. He dies stretching the rope of a doll playing the harp: when the music of the fake harp ends, soo does the count's breathing. He dies with his Rosebud in his hands, his factor of constant connivence with the gold of childhood, the fetish with which to slide back in the past (a harp harpionates him). Suicide as an art.

The testament curator explains to the designated heirs that clinically there is no doubt that the count is dead, but that the inheritance will only be given after 5 years, if the body isn't found. In the meanwhile, we see the body of the count with his eyes now lifeless, "looking" towards his relatives already fighting among them in the room. The mirror is like the ones used for recognitions of the police. The aspiring heirs are already "architectonically" the suspects. And the count? The count is our "correspondent", a post mortem version of us viewers, "fixed" in a special seat in front of the stories of the greedy heirs. The castle is there, but unreachable.

It's Kafka's castle. Actually, in this case the author goes even further. Kafka installed his perpetuous antichamber (to say it with Kundera and alluding, through the Italian word, to the camera or the ur-achine that is the realization of the script) at the feet of the castle; the count turns the castle into the mocking antichamber of himself. The line that will block inside the palace the protagonists of Bunuel's revenge angel is already tracked, nobody will have the castle, nobody will go out of it. But the treasure hunt starts anyway. The treasure is the count's body.


In the meanwhile the girlfriend of one of the unusual gold diggers has an idea in order to make the castle make money to pay taxes. Reconstruct, through lights and sounds, and in the actual locations, the legend of betrayal and murder that goes back to the Middle Ages and to that count who was the first owner of the castle. So they put in lights and speakers, the forced inhabitants of the castle start fighting in duels in order to record sword noises and played back at the right moment, and so on. So they do cinema, cinema reconduced to its electrical skeleton o its incandescent filigree of sounds and lights. "Art". Without stopping the searches.

My opinion is that the true treasure they're trying to find is cinema itself. That in order to give life to its single visions and its single stories, dies every time. Every time a grave is invented. Leaving to us spectators, novel Good Bad and Ugly, to find it in a dilated cimitery, with the obligation and faculty of using for the research the same materials of which the researched object is made, just as you chase a criminal thanks to his scent, using not only the dogs' special sense of smell, but also a piece of clothing. Like in Xanadu's castle, the countless statues and the rich array of animals in the gardens, the furniture of 1000 rooms and the serial mirrors, make C.F.Kane multiplicately alone, so the cinema every time launches its shadow and propales its silence through the aggregation of noises and glitter of every narrated story.

The cinema insists in making a synecdoche of itself (hissing). Plays hide and seek with the infailible vitality of an enthusiastic group of children and pulverizes like a suicide in the light of a fire in which the flames erase the flames (for Adorno the great art work is realized tending to destroy itself). The cinema procrastinates in the actual opera the revelation of its own essence (but we'll forget it every time): life dressed in ornate dress and nude death. Like an elegant, burning Knight of Malta. Like a harp played by competent hands that are about to freeze.


Francesco Romeo | #spioncino

Sopravvivere tra multicanalità, convergenza, crossmedia, transmedia e storytelling



Ogni giorno che passa ci rendiamo sempre più conto di quanto l’evoluzione della tecnologia, la crescente diffusione dei media digitali e il profondo cambiamento delle abitudini delle persone abbiano anche rivoluzionato il modo con cui comunichiamo e raccontiamo storie.

E’ una rivoluzione culturale prima ancora che tecnologica, che ridefinisce i processi di produzione dei contenuti.
Si creano così nuove opportunità, in particolare per giornalismo, marketing, entertainment e cittadinanza partecipativa; queste richiedono nuove competenze e già oggi offrono spazio per nuove professioni.

Sempre più spesso capita di sentire o leggere termini più o meno nuovi come convergenza, crossmedialità, transmedialità, senza però che ne sia chiaro il significato (e il fatto che talvolta vengano utilizzati a sproposito non ne agevola la comprensione).
Ho pensato quindi di stendere questa breve e semplice guida, per capire, per orizzontarsi e per sfruttare al meglio le peculiarità di ciascun approccio.

- Multimedialità
Si ha quando per comunicare un'informazione riguardo a qualcosa ci si avvale di media diversi. Mette in evidenza l’aspetto tecnologico anziché il contenuto e la narrazione.

- Multicanalità
E’ l’uso combinato di molteplici canali per creare relazioni, per dialogare con il cittadino/utente e per offrire servizi (distribuzione integrata).

- Convergenza
La convergenza dei media è il risultato degli effetti provocati dalla rivoluzione dell’informazione, grazie alle nuove tecnologie digitali che creano interdipendenza tra “contenuti” e “contenitori”.

- Crossmedialità
E’ la possibilità di mettere in connessione tra loro mezzi diversi di comunicazione grazie alle piattaforme digitali, declinando l’informazione nei suoi diversi formati e canali (produzione integrata).
Esempi di crossmedialità sono “Il Signore degli Anelli”, “Harry Potter”.

- Transmedialità
E’ la progettazione di sistemi complessi, adattabili a più forme mediatiche, nell’ottica di collaborazione aperta e spontanea con un pubblico. E’ un’evoluzione rispetto ai concetti di multimedialità e di crossmedialità.

La comunicazione transmediale si muove attraverso diversi tipi di media, aggiungendo a ogni passaggio nuove informazioni all'esperienza dell'utente e usando diversi formati di media. Il fruitore avrà così a disposizione vari "punti di entrata" attraverso i quali immergersi completamente nella narrazione.
La comunicazione transmediale spesso usa pratiche di co-creazione della narrazione, grazie allo spettatore che da passivo del broadcasting assume anche un ruolo attivo, diventando di volta in volta fruitore, creatore, produttore o spettatore.

La transmedialità punta a valorizzare, coinvolgere e raggiungere il maggior numero di persone. Data la sua complessità, richiede un’attenta progettazione.
Parliamo quindi di crossmedia se abbiamo 100 pezzi identici a un singolo pezzo di un puzzle.
Parliamo invece di transmedia se abbiamo 100 pezzi diversi che formano un unico puzzle.

Esempi di transmedialità sono “Matrix”, “Lost”, la serie televisiva americana “Glee” o il progetto “Pottermore”.

- Storytelling convergente
Si ha quando vengono distribuiti gli stessi contenuti all’interno di piattaforme editoriali diverse, per quanto perfettamente integrate tra loro.

- Crossmedia storytelling
Si ha quando un progetto viene declinato su più media distribuendo in ciascuno di essi contenuti specifici e tra loro complementari o addirittura antagonistici.

- Transmedia storytelling
E’ una narrazione che si sviluppa lungo molteplici canali mediali, su ognuno dei quali vengono distribuiti contenuti specifici, con diversi punti di accesso.

Infine, una presentazione non recentissima ma che rende ancora bene l’evoluzione della narrazione nel tempo, dall’uomo primitivo fino ad arrivare alla transmedialità.

Roberto Favini | @postoditacco


Surviving among multichannel, convergence, crossmedia, transmedia and storytelling: a practical guide

Every day we realize how much the evolution of technology, the growing diffusion of digital media and the profound change of people's habits have also revolutionized the way we communicate and tell stories.

It's a cultural revolution before being technological, which redefines the content production processes. New opportunities are created, particularly for journalism, marketing, entertainment and participative citizenship; these require new skills and already offer space for new jobs.

We often hear or read terms that are more or less new, such as convergence, crossmedia, transmedia, without having a clear understanding of their meaning (and the fact that sometimes they are used in the wrong way doesn't help). I thought that it might be useful to write this little guide, in order to understand, comprehend and take advantage of the peculiar aspects of each approach.

Multimedia
You can have it when, in order to communicate an information regarding something, you use different media. It enhances the technological aspect rather than the content and the narration.

Multichannel
The combined use of multiple channels to create relationships, to talk with the citizen/user and to offer services (integrated distribution).

Convergence
Media convergence is the result of the effects caused by the revolution of information, thanks to new digital technologies that create interdependence between "content" and "containers".

Crossmedia
The possibility of connecting different means of communication thanks to digital platforms, declining information in its different formats and channels (integrated production).
A few examples of crossmedia are "The Lord of the Rings", and "Harry Potter".

Transmedia
Projecting complex systems, adaptable to more media forms, in the view of an open and spontaneous collaboration with the audience. It is an evolution of the concepts of multimedia and crossmedia.

Transmedia communication moves through several types of media, adding to each step new information on the user experience and using different media formats. The user will have several entry points he can use to completely immerge in the narration.

Transmedia communication often uses practices of co-creation of narration, thanks to the viewer that from passive of the broadcasting also assumes an active role, becoming a user, creator, producer or spectator.

Transmedia aims to give value, engage and reach as many people as possible. Given its complexity, it requires careful projecting.
We're talking about crossmedia if we have 100 identical pieces of a puzzle.
We're talking about transmedia if we have 100 pieces that together form one puzzle.

Roberto Favini | @postoditacco

venerdì 14 dicembre 2012

Matrimonio #gay e aborto: minacce alla pace o piuttosto minacce alla #Chiesa?



Casualmente sotto elezioni, prendendo l'occasione del messaggio per la giornata dedicata alla Pace, il Papa e il Vaticano lanciano chiaro e forte il loro messaggio. Le loro linee guida, che ancora una volta evidenziano l'arretratezza di una chiesa che va su Twitter ma non capisce il mondo.

Torna a farsi sentire il Papa. Lo fa con un messaggio consegnato dai nunzi apostolici a tutti i Capi di Stato. Nel testo vengono chiamate in causa quelle che secondo il Papa sono minacce per la pace. Oltre al diritto al lavoro, Benedetto XVI mette in lista anche eutanasia, aborto e matrimoni gay. Tutti temi su cui da anni in Italia (e non solo, giusto ieri in sede europea è stata votata  la “Relazione sui Diritti Fondamentali nell’Unione Europea" che chiama in causa molti dei punti "nemici della pace" secondo IL Papa) si porta avanti un dibattito estremamente intenso che vede scontrarsi forze politiche, civili e religiose.

Ma ciò che il pontefice tira in ballo non è di prerogativa della Chiesa. Anzi. E il fatto che individui temi così delicati come minacce alla pace è a mio avviso un fatto grave, che va contro ogni buon senso. E se anche il messaggio è stato inviato a tutti i capi di stato viene comunque maliziosamente da pensare che anche il Vaticano sia sceso in campagna elettorale (quella Italiana). Un vizio, questo, che la Chiesa nel Bel Paese non perde mai e a cui una certa parte politica, più che altro per interesse elettorale, tende ad assecondare.

Le unioni gay (ma non vedo perché non chiamarlo matrimonio), su cui ad esempio a Milano con la giunta Pisapia, tramite approvazione delle unioni civili, si sta provando a delineare quella che potrebbe essere nei fatti una linea guida, sono argomento che nel 2013 (ormai ci siamo) in un paese che si dichiara democratico e civile non dovrebbe nemmeno più dover trovare ostruzionismo. Allo stesso modo, eutanasia e aborto. Sono battaglie di civiltà. La società civile da qualche anno sta portando avanti battaglie e dibattiti per coinvolgere l'opinione pubblica, per aprire nuovi spiragli di democrazia, principi che vanno incontro all'autodeterminazione della persona. Non minacce alla pace. 

Sono minacce che la chiesa vede rivolta a se stessa, ecco il punto. E' la paura di nuove brecce,  di un nuovo 1870. O il timore di perdere quell'influenza che, nonostante tutto, da allora è rimasta. Almeno qui da noi, in Italia. E quale miglior occasione di un momento che prelude alle elezioni? Con una instabilità politica forte. Dove ancora  giochi e alleanze sono tutti da fare e dove è necessario serrare i ranghi di una nuova forza cattolica, emanazione della chiesa in parlamento, per ribadire, per affermare la propria visione. La Chiesa sta qui, chi ci "ama" ci segua. Tutto il resto è una minaccia (non alla pace, ma alla chiesa). Ricorda un già sentito, in altre occasioni, nemmeno lontane nel tempo. E nel frattempo il Papa incontra, e benedice, Rebecca Kadaga, promotrice in Uganda della pena di morte per i Gay.

Non basta andare su Twitter per stare al passo con i tempi, non basta unirsi a noi con gioia per capire il mondo. Sono altre le battaglie, le aperture, i campi su cui confrontarsi. Ma anche a questo giro il piede nel mocassino papale pare più fermo e deciso che mai. Indietro di qualche secolo.

Matteo Castellani Tarabini | @contepaz83


Threats to peace or rather threats to the Church?

Casually under elections, taking advantage of the message for the peace day, the Pope and the Vatican launch their message loud and clear. Their guidelines, that once again highlight the lack of evolution of a Church that is on Twitter but doesn't understand the world.

So the Pope speaks again. He does it with a message delivered by the apostolic nuncios to all State leaders. In the text the Pope quotes what he consideres the threats to peace. Beyond the right to work, Benedict XVI puts in the list euthanasia, abortion and gay marriage. All topics on which Italy for years (and not only Italy, yesterday Europe has voted on the "Fundamental Rights in the European Union" that has to do with many of the topics "enemies of peace", according to the Pope) carries on an extremely intense debate that sees the clash of political, civil and religious forces.

But what the Pope mentions isn't something the Church has to do with. On the contrary. And the fact that he says that such delicate topics are threats to peace is very serious, and is against common sense. And even though the message has been sent to all leaders, one might think that the Vatican has started its elections campaign in Italy. A vice that the Church in Italy never loses and that a certain political party tends to satisfy, for its own elections interest.

Gay unions (but I don't understand why we should call it marriage), of which in Milan with Pisapia, thanks to the approvation of civil unions, the administration is trying to define the guidelines, are a topic that in 2013 (we're basically there), in a country that calls itself as civil and democratic shouldn't even find any obstructionism. Same thing for euthanasia and abortion. They're civilization battles. A civil society that for the past few years has been carrying forward battles and debates to engage public opinion, to open new hopes of democracy, principles that go towards the autodetermination of the individual. Certainly not threats to peace.

These are threats that the Church sees for itself, that's the point. It's the fear of new breaches, of a new 1870. Or the fear of losing that influence that, in spite of everything, has remained since. At least here in Italy. And what better occasion than before the elections? With a strong political instability. Where games and allegiances are still to be defined and where it is necessary to form a new Catholic force, an expression of the Church in Parliament, to remind and impose the vision. The Church is here, who loves us will follow us. All the rest is a threat (not to peace, but to the Church). It seems like something we already heard before, in other occasions, not too long ago. And in the meanwhile the Pope meets and blesses Rebecca Kadaga, the promoter in Uganda of death penalty for gay people.

It's not enough to be on Twitter in order to be on top of times, it's not enough to unite with joy to understand the world. The battles are elsewhere, the openings, the fields on which to discuss. But this time around the foot in the pope shoe seems more firm and decided than ever. A few centuries behind.

Matteo Castellani Tarabini | @contepaz83

#Opensource per le imprese: trattate bene la community, mi raccomando



A volte le aziende approcciano in maniera sbagliata la comunità open source, credendo che il ritorno di investimento sia grande anche a fronte di uno sforzo minimo. 

Ma veramente le persone sono così facilmente raggirabili, o ha importanza anche la percezione di quanto un’azienda crede al suo prodotto e crede in un flusso di lavoro dove la comunità sia coinvolta pesantemente?

Partecipando al Linux Day di quest’anno, mentre il pubblico si sorbiva con calma le mie slide, ha potuto osservare anche la mia esibizione in un “cazziatone” di proporzioni bibliche verso le aziende che pubblicizzano il loro fare open source, mentre in realtà la community che ribolle e si smuove non viene gestita da nessuno, e non ha poi molto modo di interagire con la compagnia; c’è una barriera vetrosa e impalpabile, in molti casi, la quale isola il contesto aziendale dalle meccaniche aperte e che fa sì molte volte che il lavoro della comunità relativa ad un progetto portato avanti da un’azienda (quindi company-driven) venga male integrato, male interpretato, gettato, sprecato.

Concorderete con me che non è modo, questo, di far sentire tale un contributor il quale con i suoi consigli, il suo codice, ed in prima battuta il suo tempo, risorsa che nella società attuale non basta mai, sta prendendo parte nei processi decisionali del proprio prodotto, e lo sta arricchendo del suo particolare e personale bagaglio di conoscenza. Per questo motivo quello che ricordo con molto piacere a chiunque mi chieda consigli su come far crescere un’applicazione, un programma, un prodotto qualsiasi dal punto di vista della community, che per vedere un’esplosione rigogliosa da questo punto di vista bisogna stimolare, e prendersi cura delle persone. In che modo? Ce n’è uno solo: attraverso delle persone, pagate, all’interno dell’azienda, che abbiano tra le attività indicate nel proprio mansionario pure quella di coordinare, anche in maniera blanda, il lavoro fatto dai contributori esterni, e di raccogliere i feedback, e di abbozzare molto lievemente l’integrazione di feature mal progettate all’interno del progetto iniziale.

Abbiamo quindi una sola via da intraprendere, per far si che il nostro prodotto open source goda di un’ottima reputazione presso le persone che lo sviluppano dall’esterno: in primo luogo, condurre un assessment preliminare sui costi (mensili e/o annuali) portati dall’aprire il nostro sviluppo al pubblico. Oltre il mansionario sopra elencato, conviene tenere in conto nella nostra analisi arbitraria anche un monte ore supplementare per gli ingegneri del software; questo monte ore/uomo andrà applicato in maniera cumulativa e il massimo che questo numero può raggiungere sarà funzione di quanto vorremo “stare a sentire” la community.

In secondo luogo, quando avremo sbrigato la burocrazia, dovremo mettere in atto il nostro documento preliminare: è consigliato l’uso della metodologia agile in azienda, nonché l’integrazione di domande nei nostri meeting periodici per capire se quello che stiamo facendo sta funzionando, quale appeal ha il prodotto, e quanto è interessante il ciclo di sviluppo per chi è all’esterno.  Annualmente, ci troveremo davanti al bilancio, e potremo decidere se mantenere le cose come stanno, o se correggere la rotta rivedendo i piani a fronte di un ritorno di investimento troppo basso. Starà a noi quindi la decisione di continuare con un reparto a workflow costante, se dedicare altro personale alle “cortesie per gli ospiti”, oppure effettuare dei tagli nello specifico riallocando le risorse di cui disponiamo su altri compiti, interni al ciclo di vita del prodotto e all’azienda.

Alessio Biancalana | @dottorblaster


Open source for companies: treat your community well

Sometimes companies approach the open source community the wrong way, believing that the ROI will be big even with a minimum effort.

Are people really so easiliy deceived, or does the perception of how much a company believes to its own product matter, along with a working flow in which the community is heavily integrated?

Participating at today's Linux Day, as the public calmly read my slides also had the opportunity to observe my exhibition in a biblical proportion scolding of those companies who advertise their open source, while in reality the community that is in turmoil isn't managed by anyone, and doesn't have any way to interact with the company itself; there's a transparent, impalpable barrier, in many cases, which isolates the company context from the open mechanics, which makes the work of the community on a project carried on by the company (company driven) is badly integrated, understood, wasted.

You will probably agree with me on the fact that this is not the way to make a contributor feel, someone that with advice and code and time, resource that is so scarce in our current society, is taking part in the decisional processes of his product, and is enriching it with his particular and personal knowledge. This is the reason why I remind anyone who asks advice on how to make an app, a program, or any product grow from the point of view of the community, that in order to see a growth explosion you must stimulate and take care of people. How? There's only one way: thanks to a few paid people inside the company, that among their activities also have the role of coordinating - in a very bland way - the work done by external contributors, of gathering feedback, and design the integration of features that were ill projected inside the initial plan.

Alessio Biancalana | @dottorblaster

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