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sabato 26 gennaio 2013
#Spioncino: Cronache in filigrana
Colpo d'occhio e fantasticherie in La 25 ora di S.Lee.
Sopra i titoli di testa di “La 25a ora” di S.Lee svettano i grattacieli di NewYork. Sono già avvenuti i fatti dell’11settembre 2001. Ed è notte. Quasi notte. Nelle prime due inquadrature si intravede quel che resta del giorno, una luce fioca, un’evanescenza: la prima inquadratura è sui fari possenti, dal basso, sulle bocche di fuoco, sugli ingranaggi del prodigio (le radici dell’artificio, del farsi film); la seconda inquadratura è il prologo tentacolare del prodigio, una ragnatela di luce alta nel cielo, un sole fatto dagli uomini che subito diventa sole di notte, con una dissolvenza incrociata che ha l’audacia e il destino di una dissolvenza al nero.
E apre la notte, e svela il prodigio. Ora, i fantasmi delle torri cadute. Due titanici fasci di luce, gettati contro il cielo, che ripetono lo strazio e l’enfasi di un epitaffio. La m.d.p. di S.Lee è paziente, si apposta, sceglie di non volere, si abbandona a una moltitudine di angolazioni, e qui avvicina, lì allontana, lo spettacolo della fantasmagoria delle torri. Il topos della skyline, dunque, viene osservato inesorabilmente come attraverso un’autopsia. Il teschio di Yorick della skyline nelle mani di Amleto/S.Lee. Un topos che già racchiude in sé il germe della propria erosione.
La sostanza della scena è la obliqua centralità data a quel fascio luminoso bifronte che, inquadrato da più punti, pare che converga e diverga, si levi alto e si inclini, si raddrizzi e guizzi via, voli e cada, cada e voli, perpetuo Icaro. Sono gli spettri manovrabili e fluorescenti di quei colossi d’acciaio che dalla mattina dell’11settembre non sono più. Il cuore della skyline è trafitto da queste due dita di luce che, diverse dalle dita che ingenerano le ombre cinesi, diverse da due fiamme della lanterna magica, non sanno ricreare e innalzare ciò che è stato raso al suolo, definitivamente. Non sanno grattare il cielo, né toccarlo, né plasmare l’aria della notte (dar forma alla sua nera invisibilità). Mani di forbice che rischiano di lacerare sempre di più quello che vorrebbero guarire o re-suscitare.
E allora possono anche apparirci come devoti riflettori accesi sulla scena del nulla. Facendo la fine di quella luce verde nel capolavoro di F.S.Fitzgerlad, Il grande Gatsby: “luogo” della veglia su un’illusione (Daisy non tornerà, la luce verde è solo una metafora e non è Daisy; Gatsby sarà uno spettatore vano, spettatore di uno schermo nero, raggelato nella sua inconcludenza quasi come il bambino-robot protagonista di A.I. Intelligenza Artificiale di Spielbeg). Freddi spettri smaglianti, la luce verde sulla quale spera a vuoto Gatsby e questa filigrana postuma delle torri. Le torri-simbolo, distrutte fisicamente, vengono adesso rammendate dal simulacro di un simbolo.
E proprio lo scavo intorno a un vuoto è un’immagine cruciale (croci: i fasci di luce che, in una inquadratura, si incrociano; la croce di Cristo, culmine emotivo della furiosa sequenza dello specchio). Il lavorio sul limitare (sulla frontiera arcuata) del vuoto, per eludere questo vuoto, la sua irrefutabilità e scurità. Fuggendo ai margini. Ma con la consapevolezza che, in questo modo, è possibile allargare il perimetro del vuoto, assecondarlo, diventarne complici. La scena clou è pertanto quella che si svolge in un elegante appartamento, a un piano alto. I due amici del protagonista parlano di lui. Un inquadratura fissa molto lunga, la più lunga del film, tiene i due amici addossati all’ampia vetrata dell’appartamento. Il primo amico conclude il discorso così, rivolgendosi all’altro: “Affronta la fottuta realtà”. Prende avvio un carrello in avanti, che sembra squarciare un velo, ribellarsi alla contraffazione pacificante della inquadratura fissa. Adesso è la m.d.p. che quasi aderisce alla vetrata; al di là di questa, lo spazio e il tempo dell’orrore.
Irrompono le percussioni della colonna sonora e da queste, dal cerchio dei tamburi, nasce un altro giro di stacchi che fa rima con quelli dei titoli di testa. Ecco le ceneri dell’11settembre, il suolo sventrato da un crollo impensabile, osceno. Il giro di stacchi è una danza lugubre che prova a cingere in un abbraccio un paesaggio abolito e impotente a ricordare quei corpi caduti da altezze che non esistono più, corpi minuscoli in quelle altezze, come stilizzati, piccole sagome nei disegni dei bambini. Sono stacchi come blocchi irreversibili, come i blocchi della Muraglia Cinese del racconto di Kafka La Costruzione della Grande Muraglia, solcati da brecce che non saranno mai colmate.
Lo sguardo di S.Lee sorprende, fra le altre tetre figure, una ruspa che scarica del materiale su un recipiente. Può darsi che anche la ruspa, che si aggira in questo territorio desertificato, in questo avvilito cratere lunare, e che “molla la presa”, sia un simbolo: un simbolo che fa la veglia a un simbolo che non c’è più; un simbolo che si ostina in un territorio sradicato da un affidabile destino di rappresentazione. Un segno disarmato di senso, turgido di un’assenza. È lo scavo intorno al monolite di “2001 Odissea nello spazio”. Spaventoso e onnivoro e inintellegibile. I due amici di Monthy si incaricano di “rifare” noi spettatori, che avevamo già assistito ai titoli di testa, indicandoci dietro il paravento del verticale spettacolo luministico la bruciante verità figurativa che si cela.
Francesco Romeo | #spioncino
Chronicles in filigree
A canary yellow vintage Super Bee pulls up short on a New York City street, and Monty Brogan gets out with his buddy Kostya to look at a dog lying in the road. The animal was mauled in a dogfight and Monty intends to shoot him but changes his mind after he looks him in the eye and decides to take him to a nearby clinic instead.
Fast forward to late 2002, and Monty is about to begin serving a 7 year prison sentence for dealing drugs. He sits in the park with his dog, Doyle, thinking of his last day of freedom. He plans to meet his childhood friends Frank and Jacob that night at a club with his girlfriend Naturelle. Frank Slaughtery is a hot shot trader on Wall Street and Jacob Elinsky is an introverted high school teacher from a privileged family, with a crush on one of his 11th grade students. He visits his father, James, a former firefighter and recovering alcoholic who owns and runs a bar, to confirm their plans to drive to the prison the following morning.
Though Monty's drug money helped him keep the bar, James is full of remorse, and he sneaks a drink when Monty goes to the bathroom. Monty, facing himself in the mirror, lashes out in his mind against everyone else: all the New York stereotypes he can think of, from the cabbies to the firefighters, the corner grocers to the mobsters, as if he hates them all.
Monty sold drugs for Uncle Nikolai, a Russian mobster, along with Kostya. Kostya tries to persuade Monty it was Naturelle who turned him in since she knew where he hid his drugs and money. Monty refused to turn state's evidence against Nikolai but he's not sure what Nikolai will do when he meets him at the club that night. He remembers how he met Naturelle when she was 17, hanging around his old school, and how happy they were before he was arrested. He persuades Frank to help him find out if it was Naturelle who betrayed him.
When they all meet at the club, Jacob sees his student, Mary, and Monty invites her in with them. Monty and Frank talk about what kind of a future he can have after prison, and Frank says they can open a bar together, even though he told Jacob he believes Monty's life is over and he deserves his sentence for dealing drugs. Frank baits Naturelle by accusing her of living high on Monty's money, and not caring where it came from, but she reminds him that he knew as well and said nothing. Jacob, meanwhile, finds the courage to kiss Mary, but both of them appear to be in shock afterwards and go their separate ways. Monty and Kostya go down to talk with Uncle Nikolai, who gives Monty advice on surviving in prison.
Then Nikolai tells him it was Kostya, not Naturelle, who betrayed him, and offers him the chance to kill Kostya in exchange for protecting his father's bar. Monty refuses, reminding Nikolai that he asked Monty to trust Kostya in the first place, and he tells them he's done, and that his father is done with them, and he walks out.
After they leave, he tells Naturelle that he's sorry he mistrusted her, and he has one last thing to do. He goes to the park with Jacob and Frank, and asks Jacob to look after Doyle. Then he admits that he is terrified of being raped in prison, and asks Frank to beat him, saying if he goes in ugly he might have a chance at survival. Frank refuses, and Monty tries to provoke him, until Jacob intervenes and Monty attacks him. Frank grabs Monty, who goads him into taking out his frustration in a fistfight, leaving Monty bruised and bloody, with a broken nose, and Frank in tears. Monty gets up and goes home.
Francesco Romeo | #spioncino
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