La scorsa settimana abbiamo parlato con Pier Luca Santoro di giornali, modelli di business e il futuro dell'editoria.
In primo luogo abbiamo chiesto a Pier Luca di delineare il quadro attuale per quel che concerne la situazione italiana: secondo lui la situazione è quella comune alla maggior parte dei paesi avanzati, ed è una di gravissima crisi che affonda le sue radici lontano nel tempo e che è causta, almeno per quanto riguarda l'Italia, da fattori tipici locali. Il primo fra questi è il fatto che gli italiani sono un popolo che non legge, e le poche persone che in questo momento sono interessate hanno scoperto una lettura in modo diverso, usufruendo maggiormente di altri mezzi, che però danno minor remunerazione all'editoria. Paradossalmente, l'interesse complessivo verso le notizie aumenta, ma genera dei ricavi drammaticamente inferiori in termini di vendite e ricavi pubblicitari.
Molto spesso si guarda agli Stati Uniti per intuire come evolverà un certo mercato o una data situazione nei mesi o anni successivi: abbiamo dunque chiesto a Pier Luca se anche per l'editoria valga la pena fare lo stesso. A suo avviso quello che succede in America a volte si verifica in Italia con un certo delta di tempo di differenza, ma molte volte non si verifica assolutamente, motivo per cui guardare troppo alle tendenze in atto negli States rischia davvero di portare fuori strada.
Per quanto riguarda i modelli di business, ce ne sono diversi che hanno ottenuto un discreto successo, ma non esiste un modello ideale. Se prima il modello era costituito da vendite/abbonamenti e pubblicità, ora questo binomio non è più sufficiente, ma un modello vero e valido per tutti non esiste più. Ognuno deve scegliere in base al proprio posizionamento, alle proprie caratteristiche, e ai propri contenuti: è una strada fatta di tanti tasselli, non più solo i due che c'erano prima.
La possibilità di far pagare i contenuti online dunque esiste, e alcuni casi di relativo successo lo confermano. Secondo Pier Luca, tuttavia, avrà molto meno senso cercare di vendere i contenuti come è stato fatto finora, rifacendosi alla logica del cartaceo e vendendo l'intero giornale. Sarà molto più interessante muoversi in termini di micropagamenti, e vendere sezioni di giornale oppure gli articoli di singoli giornalisti. Il tentativo di aumentare le visite con box più o meno morbosi e photogallery di dubbio gusto non fa altro che inficiare la qualità del traffico, e a minare alla base la possibilità di valorizzare l'informazione online.
I più grandi giornali italiani hanno tutti i giorni più visitatori unici di quanto sia la loro tiratura, eppure nonostante questo, l'adv online costa molto di meno rispetto al cartaceo. Secondo Pier Luca questo è dovuto al fatto che l'adv su carta presenta comunque dei vantaggi, sia in termin di permanenza, sia in termini di attenzione che la lettura su carta presuppone rispetto alla versione digitale. Inoltre è da notare il fatto che per l'adv online, il clickthrough ha indici dello 0,0...%, anche e soprattutto perché usa forme di comunicazione che non funzionano. Una soluzione potrebbe essere studiare nuove forme di adv, specificamente create per l'online, e non tentare di riproporre la versione tradizionale del banner pubblicitario.
Abbiamo parlato anche di Pubblico, di eventuali modelli di business di successo, di Huffington Post, giusto per citare alcuni temi.
Vi invito dunque a visionare l'intervista integrale, ben più ricca rispetto a questa mia breve sintesi.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
10minuteswith Pier Luca Santoro
We interviewed Pier Luca Santoro, who talked about publishing and new models, content curation and the new paradigms related to the production of content.
First of all we asked Pier Luca where the fracture between users and content producers lies: he believes it is obvious that there is a fracture, since the cultural industry as we know it functioned on the idea that content was scarce and that it was necessary to pay to have it. In exchange you got a service: finding books in the library and disks in the music store, it was possible to have access to the information they selected.
Now, however, the cultural grammatic has changed: the production costs are next to zero, everyone can produce and distribute their own content at ease. The gap is educational, we're not socially educated to navigate the abundence of news, books and content, and we don't know how to take the responsibility of mediation on ourselves, the one that used to be delegated to the selected few. If the world changes rapidly, nobody has the time to codify change, make it understandable and turning it into common cultural patrimony.
Another aspect we saw in our interview was the one of the balance between quality and quantity: Giuseppe believes that what we see happening now doesn't describe how things will be in a year's time. These are transitory situation, since they try to answer to a grammar that we still don't understand the functioning of.
The most reasonable prevision is of a New York independent editor, who pointed out a principle that is easy to grasp: it will be very difficult in the next years to make money by selling content. This is because evidently everyone can produce content, so it becomes complicated to give them a price.
The answer is that content of not excellent quality becomes a pure commodity: in the future, from the point of view of who works on content, the author's work will be rewarded, or a well done curation, the capacity of telling the story of a world by putting together different sources. You can hence have a higher comprehension, and save time. And the reader's time has an economical value.
During this time of great transition, the editors change their role, and one of the possible hypotheses is that they become content curators themselves. The great problem of editors is understanding how to survive today: what do they offer more, how can they guarantee to sell more books than someone who publishes independently? In the States they say that the true enemy isn't piracy, but obscurity: the problem is to make your content more visible in a world in which everybody produces content. And this is the issue editors must learn to solve.
The figure of the curator already has an extremely important role: if you try to reconstruct an event, as a reader, you can spend an afternoon of research and study. If you find someone who has already done the work for you, who has built a good curation, and didn't just give the news but actually built a wide scenario, then you discover that you saved time, which has a great value because it is your scarce resource.
We asked how the curation platforms will evolve: in Giuseppe's opinion, the value of curation isn't in the tool, but in the cognitive capacities, the cultural references and the method of who does it. The platform is just a tool, and for how he sees it, a good curation can be done splendidly in a blog.
Of course, I invite everyone to view the full interview, much richer in details than my brief analysis.
Enjoy!
Maria Petrescu | @sednonsatiata
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