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sabato 9 febbraio 2013

Questione cultura Italia: Pop vs Snob



E' andata in onda una puntata de Le Invasione Barbariche di Daria Bignardi, quella che passerà alla storia come "Monti e il suo cane".  

Di questo non parlerò, perché francamente sono esausto di questa campagna elettorale senza campagna elettorale. C'è stato invece un contributo video di Guia Soncini che mi è parso interessante.

@laSoncini è una personalità particolare su Twitter, culturalmente preparata, stimolante, anche per alcuni hashtag inventati, come #ilgrandecanile, con riferimento ad una fiction dal titolo La Grande Famiglia. Però quando afferma che noi italiani non siamo praticamente in grado di recitare, l'argomento resta la serialità televisiva, non sta dicendo proprio tutto, sta solamente rimestando il brodo di Twitter, degli hashtag e di una piccola parte della produzione culturale.

Da una rapida occhiata al panorama Rai-Mediaset la situazione è disperata, ma qui stiamo andando ben oltre, stiamo riproponendo un dualismo che in Italia purtroppo vive ancora, cioè quello della cultura pop contro la cultura snob, una questione che è fortemente politica. Innanzi tutto c'è una forte convinzione che in Italia con la cultura non si mangi. Niente di più falso, l'Europa e non solo, e situazioni del nostro passato, sono piene di imprese culturali remunerative. Secondo si pensa sempre che la cultura riguardi solamente la questione della conservazione del patrimonio e del paesaggio, concetto che presuppone una società immobile se non per qualche visita ad un museo oppure il conto degli ingressi della lirica e del teatro.

Ultima cosa è l'affermare cosa sia cultura e cosa non lo sia, per cui leggere le liriche del greco Mimnermo lo è, mentre leggere un fumetto come Valzer con Bashir, non lo è. Negli anni '90 sembravamo sulla buona strada per uscire da questa vacua contrapposizione, ma, ahinoi, sembra proprio che ci siano tornati e con tutte le scarpe. Potremmo anche esagerare, affermando come anche la soap opera sia una questione culturale, cosa che afferma tutto il corpus delle scienze sociali (consiglio sempre il libro di Florence Dupont "Da Omero a Dallas") ma temo che possa generare confusione.

Se avessimo un sistema produttivo televisivo migliore, il che sarebbe realizzabile con un'offerta di canali e di attori produttivi, superiore a quell'odierna, potremmo parlare di vera scelta, ma purtroppo così non è. Se avessimo anche un sistema basato sulla meritocrazia e sulla scelta forse potremmo avere più coraggio, ma neanche questo è possibile, perché i prodotti culturali si assomigliano tutti, tranne rare eccezioni, e sono tutti livellati verso il basso, molto basso. Quando parlo di questione politica non sto parlando di Berlusconi e di come abbia colonizzato le sue tv con prodotti americani, che tutti guardiamo, anche se dovremmo chiederci perché la sinistra politica e culturale ha lasciato che lo spazio pop, quello del prodotto medio per intenderci, fosse codificato solo in quella cifra e da quella parte.

Eppure questo è successo. L'Italia ha avuto nell'ambito della produzione culturale, in tutti i campi, una forte produzione di generi e di prodotti medi, ma poi è stato tutto distrutto, squadernato, disperso, per un'ideale "repubblica colta" dove le persone consumassero prodotti "elevati", di qualità superiore. Si è pensato ad una percentuale di consumi di una piccola parte, abbandonando il resto e spesso facendolo sentire in colpa la massa per quello che fruivano. Il risultato è quello abbiamo di fronte a noi: la cultura è disprezzata perché percepita come istituzionale, obbligatoria e non libera.

Grandi mostre sui fumettisti, ad esempio Pratt e Pazienza, sono state realizzate solo dopo la morte di questi artisti. In vita erano oggetti e soggetti di culto nel mondo, ma qui da noi, non proprio. Che dire poi del nostro cinema non d'autore, studiato e preso a modello in tutto il mondo, ma che doveva aspettare dei decodificatori d'oltreoceano per essere riproposto, almeno come fenomeno di moda. Sicuramente alla base e a sostegno di questo c'è stato anche l'anti-americanismo più militante e più stupido, che non permetteva di distinguere la qualità dei prodotti. Quello che è successo è stato l'omicidio della nostra tradizione culturale, che aveva caratteristiche proprie, per storia, ma anche per i rapporti con il mondo mediterraneo, con quello balcanico, con quello francese e nord-europeo. Forse abbiamo perso del tutto la nostra capacità d'interpretazione, di bricolage dei saperi e delle pratiche, e me ne accorgo leggendo commenti sui social network dove oltre a varie lamentazioni intravedo una mancanza di curiosità che gela l'animo, se non in alcune nicchie.

C'è stato in questo anche la grande illusione del made in Italy, dove creatività italiana era solo capace di fashion e food, per dirla con termini contemporanei, dando l'impressione che questo paese potesse solamente dare cibo dell'apparenza oppure occhiali da sole molto costosi. Tutto questo perchè la stagione dei micro e macro movimenti, dal basso, spontanei, doveva morire, e quindi la nuova linfa per l'apparato produttivo. M'interrogo sul perché i fenomeni migliori sono stati rifiutati dal ciclo produttivo, mentre sono state prese solo alcune delle persone migliori, subito però messe a regime nei ranghi di produzioni più pigri.

In fondo la produzione pop, quella alternativa, uso il termine in opposizione al mainstream, c'è stata, ha anche avuto successo, però non c'è stato investimento, nessuno ha scommesso su queste innovazioni. Questo passa per me nel pensiero che ha voluto separate cultura e intrattenimento, come se fossero nemici, antitetici, dimenticando il ruolo storico che in questo paese c'è stato al di là tutto della cultura "ufficiale" - gente che ascoltava Battisti di nascosto però. Eppure basta guardare gli spettacoli pieni di Ascanio Celestini e Marco Paolini, oppure come storicamente la Disney Italia dei fumetti, abbia salvato la triade di Topolino, Paperino e Pippo, certo non roba da poco. Ricordare l'esplosione della musica tradizionale rivisitata o del teatro dialettale.

La cultura è un organismo pulsante e vivente, eppure lo si vuole appiattire sulla conservazione. Certo che è primario salvare Pompei e Sibari, ma cosa ne faremo poi? Tutti possiamo amare un testo di Heidegger e poi guardare un cinepanettone, è inutile nasconderci dietro maschere per questo. L'obiettivo è cercare di costruire dei prodotti medi che integrino noi come italiani, europei, occidentali, con pregi e difetti, senza lasciare nulla al caso. Da crocevia, nodo di scambio e influenze, siamo passati a parcheggio di sosta.

Simone Corami | @psymonic


The Italian cultural matter: pop vs snob

Another episode of "Le Invasioni Barbariche" by Daria Bignardi has aired, the one that will pass to history as the one called "Monti and his dog".

I won't talk about this, though, because honestly I'm sick and tired of this elections campaign without an elections campaign. There has been an interesting video contribution by Guia Soncini, though, which I found extremely interesting.

Soncini is a particular personality on Twitter, culturally prepared, stimulating, also because of some of her invented hashtags. But when she says that we Italians aren't capable of acting, the topic always remains constrained on TV series, and she isn't saying everything, she's just stirring the Twitter broth, of the hashtags and just a little piece of the cultural production.

From a rapid look to the Rai Mediaset scenario the situation appears to be desperate, but here we're going beyond that, we're reproposing a dualism that in Italy unfortunately still lives, which is the one of popo culture against snob culture, a matter that is strongly political. First of all there's a strong conviction that in Italy you can't survive with culture. Nothing falser, Europe and not only, and situations of our past, are full of paying cultural enterprises. Secondly, we always think that culture only regards the matter of patrimony and landscape conservation, a concept that assumes an immobile society, if not for some visits to a museum or the count of tickets in operas and theaters.

Lastly, stating what is culture and what is not, a principle according to which reading Minmermo's poetry is culture, while reading a comic book like Valzer with Bashir isn't. During the 90s we seemed to be on the right path to getting out from this empty contrast but, unfortunately, it seems like we're right back in it. We might exaggerate, stating that even a soap opera is a cultural matter, which is what the entire corpus of social sciences states (I always advise reading Florence Dupont's book "From Homer to Dallas"), but I'm afraid it might generate some confusion.

If we had a better television production system, which would be actually doable with an offer of productive channels and actors, superior to the current one, we miight talk about a real choice, but unfortunately that's not the case. If we also had a system based on meritocracy and on choice we might have more courage, but not even that is possible, because cultural products are all very similar, except for a few exceptions, and are all levelled towards the lowest level, a very low level. When I talk about the political matter I'm not talking about Berlusconi and the way he colonized his tvs with American products, that we all watch, even though we should ask ourselves why the political and cultural leftwing has allowed for the popo space, the one of the medium product, to be codified only in that way and in that part.

And yet it happened. Italy has had in the field of cultural production, in all fields, a strong production of medium genres and products, but then everything was destroyed, changed, divided, in order to create an ideal "high culture republic" where people would consume "high" products, of superior quality. We thought about a percentage of consume of a small part, abandoning the rest and often making it feel guilty for what they enjoyed. The result is what we have in front of us: culture is despised because perceived as institutional, compulsory and not free.

Big expositions on comic book authors, such as Pratt and Pazienza, have only been done after their deaths. During their life they were objects and subjects of veneration in the world, but here... well not quite. What should we say about our non author cinema, studied and copied in the entire world, but which had to wait for overseas decodifyiers in order to be reproposed as a fashionable phenomenon?

Surely at the base and sustaining this there has been also the most supid and accurate anti-Americanism, that didn't allow to distinguish the quality of products. What happened then was the homicide of our cultural tradition, which had its own characteristics, for its history but also for its relationships with the Mediterranean world, with the Balcanic world, with the French and North-European world. Maybe we've completely lost our interpretation capabilities, of knowledge and practices bricolage, and I realize it by reading comments on social networks where, beyond the various complaints, I also see a soul freezing lack of curiosity, with the exception of a few niches.

Then there was the great illusion of made in Italy, where Italian creativity was only capable of fashion and food, to say it in contemporary words, giving the impression that this country could only offer food that looked good or extremely expensive eyeshades. All this because the season of micro and macro movements, from below, spontaneous, had to die, and so did the new life for the production system. I wonder why the best phenomena have been refused by the production cycle, while only a few of the best people have been taken, immediately put in regime in the laziest production lines.

In the end the pop production, the alternative one, and I use this term in opposition to mainstream, has existed and has even had some success, but there has been no investment, nobody actually put a bet on these innovations. This is what in my opinion passes in the though that wanted to separate culture and entertainment, as if they were enemies, opposites, forgetting the hystorical role that in this country has had for the "official culture" - people who listened to Battisti, but hiding in their rooms. And yet you only need to watch shows filled with Ascanio Celestinis and Marco Paolinis, or to how historically the Disney Italy of comic books has saved Mickey Mouse and his mates, surely not something small. Remembering the explosion of traditional revisited music or of dialect theatre.

Culture is a pulsant, living organism, and yet we want to level it down to conservation. Of course it's vital to save Pompei and Sibari, but what are we going to do with them? We can all love a Heidegger text and enjoy a Christmas movie, it's useless to hide behind masks because of this. The goal is to try and build medium products that integrate us as Italians, Europeans, westerners, with our highs and lows, without leaving anything to casualty. From a thriving node, an intersection of exchange and influence, we've turned into a freaking parking lot.

Simone Corami | @psymonic

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