Gombrowicz o Vivo al bivio.
Splendessero lanterne, il sacro volto,
Preso in un ottagono d’insolita luce,
Avvizzirebbe, e il giovane amoroso
Esiterebbe, prima di perdere la grazia.
I lineamenti, nel loro buio segreto,
Sono di carne, ma fate entrare il falso giorno
E dalle labbra le cadrà stinto pigmento,
La tela della mummia mostrerà un antico seno.
Mi fu detto: ragiona con il cuore;
Ma il cuore, come la testa, è un’inutile guida.
Mi fu detto: ragiona con il polso;
Ma, quando affretta, àltero il passo delle azioni
Finché il tetto ed i campi si livellano, uguali,
Così rapido fuggo, sfidando il tempo, calmo gentiluomo
Che dimena la barba al vento egiziano.
Ho udito molti anni di parole, e molti anni
Dovrebbero portare un mutamento.
La palla che lanciai giocando nel parco
Non è ancora scesa al suolo.
D.Thomas
Una delle più entusiasmanti lotte nella letteratura del 900 è quella ingaggiata da W.Gombrowicz contro la teratologia della forma. La forma (la forma mentis della forma?) è un mostro feroce e schivante, un mostro bifronte, o ti divora con la sua fame di simmetrie e orli e chiasmi e ghirigori, ti condanna a un ardore di architettura di giardini e ti inchioda alla ortodossia più spinta (quella intessuta del miraggio di labirinti), o ti raggela di paura in perpetuo, ingoiando il tuo fervore, senza la lusinga di sfidarti, lasciandoti solo con la tua infantile fanghigliosa pretesa di libertà da vincoli e rotondità, piegato, come un vecchio o uno scolaro (la parola è vecchia) con lo zaino (e non zainetto!) sulle spalle, dal fardello della tua inconcludente sete di sbizzarrirti e di scorazzare (nelle tedianti strade di un deserto d’asfalto).
Come si sconfigge questo drago a due teste? Ma è chiaro (come il sole o il fuoco fatuo), destinando i barbagli della spada, mentre le teste ruotano e fiammeggiano, al nucleo inamovibile dell’universo, in mezzo alle due teste. Né l’alta uniforme della forma ufficiale né la giacobambina licenziosità degli sformati di carni e riso. Gombrowicz è ubriaco di forma e come gli hanno detto i disegni animati colpirà al centro, se il suo braccio avrà forza di arrivare. Quanti dispositivi sono stati inventati per allontanare il presente e balzare alla giovinezza, quanto si è allungata la lenza per pescare il pesce guizzante, l’anguilla imamuriana, dell’età truffauttiana o dickensiana o proustiana o nabokoviana, di quegli anni in tasca che sono le monete più tintinnanti e allegre per i polpastrelli! Ma ora ci vuole un aggeggio che intercetti la linea tra quel SOSpetto paradiso e il demiinferno della maturità.
E lì che bisogna insinuare il nostro dire e il nostro trasgredire. Della forma seguire una sola orma, quella che fugge ma ancora vive e vede, uno scantinato (babelico e perfino Babeliano) in cui le forme sono giocattoli ma seriali segni dello zodiaco e giochi seri.
Francesco Romeo | #spioncino
Truth is a pendulum oscillating between maturity and youth
Gombrowicz or living at the crossroads
Should lanterns shine, the holy face,
Caught in an octagon of unaccustomed light,
Would wither up, an any boy of love
Look twice before he fell from grace.
The features in their private dark
Are formed of flesh, but let the false day come
And from her lips the faded pigments fall,
The mummy cloths expose an ancient breast.
I have been told to reason by the heart,
But heart, like head, leads helplessly;
I have been told to reason by the pulse,
And, when it quickens, alter the actions' pace
Till field and roof lie level and the same
So fast I move defying time, the quiet gentleman
Whose beard wags in Egyptian wind.
I have heard may years of telling,
And many years should see some change.
The ball I threw while playing in the park
Has not yet reached the ground.
D.Thomas
One of the most thrilling fights in the literature of the 20th century was the one done by W. Gombrowicz against the teratology of form. The form (the forma mentis of form?) is a ferocious and avoiding monster, a two-faced monster, which either devours you with its hunger of simmetries and edges and chasms and doodles, condemns you to a heat of architecture of gardens and nails you to the most obsessed orthodoxy (the one woven with the illusion of labyrinths), or freezes you in fear forever, swallowing your fervor without even the flattery of challenging you, leaving you alone with your childish muddy pretense of liberty from constraints and roundness, bent, as an old man or a pupil (the word is old) with a backpack (not a small backpack!) on the shoulders, from the burdcen of your inconclusive thirst to get bizarre and wander (on the boring streets of an asphalt desert).
How does one defeat this two headed dragon? But it's clear (just like the sun or like ignis fatuus), destinating the almanac of the sword, as the heads rotate and scatter flames, to the unmovable nucleus of the universe, between the two heads. Not the high uniform of the official forma nor the jacobin licentiousness of the meat and rice flans. Gombrowicz is drunk of shape, and as the cartoons told him he will strike the center, if his arm will be strong enough to get there. How many devices have been invented to get the present away and jump to youth, how much has the fishing line been elongated in order to catch the squirming fish, the eel, of the Truffaut or Dickens or Proust or Nabokov era, of those years in the pocket that are the most clinging, happy coins for the fingers! But now we need a device that can intercept the line between that SOSpicious paradise and the semihell of maturity.
It's there that we need to put our words and our trespassing. Only follow one trace of the shape, the one that runs away but still lives and sees, a basement (Babel and Babelian) in which the shapes are toys, but serial signs of the horoscope and serious games.
Francesco Romeo | #spioncino
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